Nell’ambito della sovranità dello Stato tre sono le principali funzioni pubbliche: la legislazione, l’amministrazione e la giurisdizione. Tale elaborazione, frutto della mente illuminata di Charles-Louis de Secondat, barone di La Brède e di Montesquieu, meglio noto come Montesquieu, non solo è oggi sotto attacco, ma rischia di essere minata nelle proprie fondamenta. Ma cerchiamo di comprendere il perché. In data 1 febbraio 2020 è stata pubblicata sulla G.U. n. 26 la ormai nota Delibera del Consiglio dei Ministri del 31 gennaio 2020 avente ad oggetto la “Dichiarazione dello stato di emergenza in conseguenza del rischio sanitario connesso all’insorgenza di patologie derivanti da agenti virali trasmissibili” con la quale il Governo italiano ha decretato lo stato di emergenza nazionale. Omettendo, in questa sede, qualsivoglia considerazione sul tempismo delle successive scelte operative del Governo, l’intenzione è però quella di comprendere cosa si sia fatto e cosa si stia facendo specificatamente per il futuro della Giustizia. Il primo atto è stato segnato dal Decreto Legge 8 marzo 2020, n. 11 “Misure straordinarie ed urgenti per contrastare l’emergenza epidemiologica da COVID-19 e contenere gli effetti negativi sullo svolgimento dell’attività giudiziaria”, il cui art. 1 ha disposto la sospensione dei termini processuali dal 9 marzo al 22 marzo per tutte le udienze dei procedimenti civili e penali pendenti presso tutti gli uffici giudiziari (1 comma) e dei termini per il compimento di qualsiasi atto dei procedimenti indicati al comma 1 (2 comma). Il successivo art. 4 ha previsto, poi, che “a decorrere dal 23 marzo e fino al 31 maggio 2020 i capi degli uffici giudiziari, sentiti l’autorità sanitaria regionale, per il tramite del Presidente della Giunta della Regione, e il Consiglio dell’ordine degli avvocati, adottano le misure organizzative, anche relative alla trattazione degli affari giudiziari, necessarie per consentire il rispetto delle indicazioni igienico-sanitarie”. E torneremo su questo articolo 4 perché sarà utile per comprendere l’attuale stato dell’arte. Ma andiamo avanti nel racconto normativo. Con il successivo Decreto Legge 17 marzo 2020, n. 18 (pubblicato G.U. Serie Generale n. 70 del 17.03.2020) “Misure di potenziamento del Servizio sanitario nazionale e di sostegno economico per famiglie, lavoratori e imprese connesse all’emergenza epidemiologica da COVID-19” è stato disposto, per tutti i procedimenti civili e penali pendenti un rinvio d’ufficio di tutte le udienze fissate dal 9 marzo al 15 aprile 2020, a data successiva rispetto a quest’ultima. Ed ecco allora che interviene il successivo Decreto-Legge 8 aprile 2020, n. 23, che al Capo V (Disposizione in materia di termini processuali e procedimentali), art. 36 ha prorogato l’iniziale termine del 15 aprile all’11 maggio.[1]
Ma non finisce qui: finalmente (n.d.r. forse) viene emanata la Legge 24 aprile 2020, n. 27 di conversione in legge, con modificazioni, del decreto-legge 17 marzo 2020, n. 18.
Ma la legge nel convertire il decreto legge, cosa fa? Lo ricopia pedissequamente senza avere memoria che nel frattempo, l’ulteriore D.L. n. 23/2020 aveva esteso la sospensione fino alla data dell’11 maggio. Ecco allora che per gli avvocati, che già vivono di ansie per le continue scadenze, si manifesta ai loro occhi il peggiore degli incubi: il terrore che i termini per le incombenze processuali siano magicamente scaduti, senza colpa alcuna, stavolta, per i sempre vituperati avvocati.
Ed allora ecco che il Decreto Legge 30 aprile 2020, n. 28 interviene a colmare l’ennesima lacuna prevedendo all’art. 3, comma 1 lett. b) che al comma 6, primo periodo, le parole «16 aprile» siano sostituite dalle seguenti: «12 maggio», salvando le nottate insonni della categoria.
In termini molto sintetici, questa ricostruzione rappresenta, a parere di chi scrive, una sciatteria di tecnica legislativa che per mesi ha creato inesattezze, confusione e la più totale incertezza giuridica.
Ma il racconto va avanti: torna, infatti, in gioco l’art. 4 del Decreto Legge 8 marzo 2020, n. 11, lasciato sopra in sospeso, attraverso il quale inizia il secondo atto della nostra storia.
Il secondo atto che riguarda l’organizzazione della Giustizia dopo la sospensione ed il futuro che la attende, ove ogni Tribunale applicherà delle proprie Linee guida, ove financo ogni Sezione di ogni Tribunale adotterà un proprio protocollo, ove i principi processual-penalistici sono messi a repentaglio, ove il sistema giudiziario dimostra di vivere ancora nel Pleistocene: praticamente una Babele giudiziaria.
In vista della “riapertura” dei Tribunali prevista per il prossimo 12 maggio, ancora sono molti i nodi da sciogliere: udienze da remoto, rinvii, trattazione scritta, e le udienze penali, la tutela dei diritti degli imputati e dei carcerati, la gestione del recupero delle scadenze, le aule, gli accessi in Tribunale.
L’inefficienza del sistema giudiziario fa perdere di credibilità al sistema Paese: si sa che la prima garanzia di efficacia della risposta giudiziaria è direttamente collegata alla sua tempestività.
Forse, grazie all’aiuto dello Stato, prodigatosi per consentire al sistema scolastico l’uso ottimale delle piattaforme digitali, anche il settore giudiziario si sarebbe potuto “svecchiare” trasferendosi – laddove possibile – online, con tutte le precauzioni per quei procedimenti, soprattutto penali, che richiedono maggiori garanzie di tutela. Questa pandemia poteva rappresentare l’occasione per velocizzare un sistema non rispondente all’enorme richiesta di giustizia dei cittadini; molte udienze, ad esempio, avrebbero potuto essere celebrate da remoto, si sarebbe potuto estendere il processo telematico ai giudici di pace civili, si sarebbe potuto sostituire la trattazione orale con la trattazione scritta per le udienze civili che non richiedono la presenza di soggetti diversi dai difensori delle parti e come queste tante altre proposte sicuramente migliorative di un sistema inefficiente.Il sistema ha dimostrato tutta la sua inettitudine e chi lo Governa l’incapacità di non saperlo gestire.
In questa tempesta, tutti gli operatori del diritto sono in balia delle onde e tenere il timone dritto è impresa ardua, da portare avanti con la collaborazione ed il coinvolgimento di tutti.
Abbiamo, quindi, deciso di farci portavoci di una serie di proposte che, speriamo, vengano prese in considerazione per migliorare la giustizia italiana:
- utilizzo delle Caserme e delle strutture pubbliche oltre che la possibilità di svolgere le udienze anche nel pomeriggio;
- rafforzamento del sistema informatico;
- applicazione del telematico in tutti gli uffici giudiziari, ivi incluso Ufficio del Giudice di Pace e Corte Suprema di Cassazione;
- celebrazione delle udienze da remoto ove compatibile con la natura del processo;
- in via subordinata, sostituzione della trattazione orale, ove possibile, con la trattazione scritta telematica e applicazione di quest’ultima modalità per le udienze di precisazione delle conclusioni;
- aumento del personale (soprattutto amministrativo, con maggiori competenze informatiche).
È il momento di unire le forze verso un unico fine: l’esercizio della Giustizia in nome del popolo.
[1] La proroga dei detti termini si estende, in quanto compatibile, anche ai procedimenti:-relativi alla mediazione, alla negoziazione assistita e alle altre ADR obbligatorie(art. 83, comma 20 del D.L. n. 18/2020);-ai procedimenti dinanzi le Commissioni Tributarie(art. 83, comma 21del D.L. n. 18/2020);-ai procedimenti dinanzi le magistrature militari(art. 83, comma 21del D.L. n. 18/2020).La proroga del termine (fino all’11 maggio) non si applicaai procedimenti penali in cui i termini di cui all’articolo 304 c.p.p. scadano nei sei mesi successivi all’11 maggio 2020(comma 2) (fonte Scheda di lettura del CNF del 9 aprile 2020)
(L’avvocato Maria Chiara Ruzza è presidente della sezione di Roma del Movimento Forense; Flavia Marinucci è avvocato del Foro di Roma)