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Perché urge un nuovo centro-sinistra 

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Il bel discorso di ieri sera del presidente Conte, le sagge parole di Andrea Orlando circa i rischi che corre l’esecutivo, il ritorno di un ampio dibattito sul ruolo e la dignità del pubblico dopo decenni di predicazione liberista, la doverosa richiesta a determinate imprese di riportare la sede fiscale in Italia se intendono chiedere aiuti economici allo Stato: gli ingredienti per un nuovo centro-sinistra, a volerlo veramente, ci sono tutti.
Fatte le debite differenze di interpreti e di fase storica, il modello da seguire deve essere quello del centro-sinistra moroteo che caratterizzò gli anni Sessanta, una delle fasi migliori della nostra storia recente. Si veniva dall’esperienza del governo Tambroni, dalla tragedia dei morti di Genova e Reggio Emilia nell’estate del 1960, dal rischio di un colpo di Stato che si era palesato con vigore in quel lontano e maledetto luglio, eppure la democrazia aveva resistito e da quell’esperienza era sbocciato, per reazione, un Paese di gran lunga migliore, con la prospettiva di un processo d’apertura a sinistra che contribuì in maniera decisiva al miglioramento delle condizioni di vita dei cittadini.
Era la stagione della Nuova frontiera kennediana, gli anni in cui La Stampa di Torino sosteneva apertamente l’opzione di un’apertura ai socialisti di Nenni ed Enzo Biagi diventava, sia pur per poco, direttore del telegiornale. Furono anni di crescita, sviluppo e benessere, nonostante le innumerevoli difficoltà che quellavventura dovette fronteggiare, a cominciare dal tentato golpe dell’estate del ’64, meglio noto come Piano solo, in cui erano attivamente coinvolti i vertici del SIFAR. Si parlò, all’epoca, di “tintinnar di sciabole” e nel ’68, di fatto, la DC accantonò Moro e scelse la strada della svolta a destra, culminata, dopo i fatti di piazza Fontana e l’inizio della contestazione studentesca, con l’elezione al Quirinale di Giovanni Leone. Storie lontane, episodi che ormai appartengono alla memoria del nostro Paese.
Il presente ci parla, invece, di un’Italia fragile e fiaccata dalle molteplici emergenze cui è costretta a far fronte, con un governo che non ha nulla a che spartire, per qualità ed esperienza, con alcuni giganti di allora e con un Presidente del Consiglio che fa quel che può, barcamenandosi fra mille contrasti e una ridda di ambizioni personali che finiscono troppo spesso col prevalere sul bene comune e sull’interesse collettivo. Nonostante tutto, anzi proprio per questo, è arrivato il momento di osare. Il segretario del PD, Zingaretti, dovrebbe assumersi l’ingrato compito di provare a federare le tre forze cardine dell’attuale esecutivo: il suo partito, Liberi e Uguali e l’ala dei 5 Stelle vicina al presidente della Camera, Fico. Come dimostra la scissione di Alice Salvatore in Liguria, infatti, la destra tornerà a destra, i duropuristi andranno a sbattere, restando vittime del loro stesso estremismo, e la sinistra tornerà a sinistra o, qualora non dovesse trovare una rappresentanza all’altezza, si rifugerà nell’astensione.
Il PD avrebbe bisogno di un congresso vero, sul modello di quello di Napoli della DC nel ’62, quando Moro impiegò parecchie ore per convincere i delegati del suo partito ad abbracciare i socialisti, aprendo una nuova fase politica e la stagione che abbiamo poc’anzi menzionato.
Avrebbe bisogno di un confronto autentico, senza primarie, senza rodei, senza mettere in discussione un segretario eletto poco più di un anno fa, interrogandosi piuttosto sul ruolo dello Stato nell’economia, sugli aiuti da concedere alle imprese, sulle condizioni dei medesimi, sulla necessità di ripristinare l’IRI, sull’urgenza di rifondare l’Unione Europea su basi autenticamente comunitarie, in cui le persone tornino a contare più delle merci, sulle politiche ambientali da varare per scongiurare che il pianeta si trasformi in un inferno e sul bisogno, non più rinviabile, di coinvolgere le nuove generazioni in questo ambizioso progetto.
Il PD dovrebbe essere la locomotiva del cambiamento, anche perché ciò che denuncia Orlando, ossia le crescenti pressioni di una parte del mondo economico ed editoriale per sostituire la compagine attuale con una più attenta alle esigenze dei soliti noti e dei caporioni dell’industria che da sempre adorano il liberismo purché riguardi unicamente gli altri, sarà una costante dei mesi a venire, con conseguenze imponderabili sulla tenuta sociale ed economica di una Nazione allo stremo.
Il M5S, dal canto suo, è finito, ha fallito la sua missione storica ed è destinato, nell’arco di questa legislatura, all’implosione o, comunque, a esaurirsi. L’esperienza di Liberi e Uguali, ahinoi, si è rivelata complessivamente un disastro ma, quanto meno, ci ha regalato un ministro della Sanità all’altezza del compito. Lo stesso PD, infine, andrebbe superato perché ormai appartiene al passato e non ha le risorse strutturali per sopravvivere ai rivolgimenti globali che si preannunciano nel decennio appena iniziato. Un nuovo centro-sinistra, al contrario, potrebbe offrire una speranza a tutti coloro che non vogliono arrendersi agli schemi di questa Confindustria, a chi non prenderebbe nemmeno un caffè con i sovranisti sparsi qua e là e a chi pensa che Conte non sia Churchill ma sia senz’altro una persona perbene e un governante serio e assennato. A proposito di Churchill e di questo governo, verrebbe da dire, mutuando una battuta dello statista inglese, che è il peggiore che si sia mai visto, eccetto tutti quelli che potrebbero venire dopo di lui. Che si voti o meno, è meglio mettersi al riparo.

 


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