La bellissima notizia della liberazione di Silvia Romano ha portato tanti italiani ad auspicarne un’altra, la liberazione e quindi il ritorno ai suoi cari di padre Paolo Dall’Oglio, sequestrato dall’Isis il 29 luglio del 2013. Quindi ormai sette anni fa.
Questo auspicio comparso soprattutto sui social media vuol dire che il tempo non ha cancellato la ferita: si sarà rimarginata, ma la cicatrice è sempre lì. E questo è importante: è bene che sia per tutti i sequestrati, anche quelli che non conosciamo, ma se dopo tanto tempo si avverte ancora il bisogno di parlare, di auspicare, di ricordare Paolo Dall’Oglio vuol dire che qualcosa del gesuita romano, del suo amore per i siriani, c’è entrato nel cuore. Neanche la pandemia è riuscita a rimuovere questo filo di affetto, di attaccamento ad un uomo che aveva osato avvertirci.
È per questo che mi sembra importante capire cosa voglia dire “attendere” Paolo. Per me vuol dire non smettere di parlare di Siria. Infatti sono convinto che ciò che resta in vita dipende dai vivi. Parlare di Siria dunque vuol dire parlare di lui, di quel per cui ha sfidato con piena consapevolezza il destino peggiore per non essere complice di un monumentale tradimento dell’uomo.
Questa sfida ci riguarda ancora e se dovessi usare un’espressione che oggi va molto di moda sebbene non mi appartenga dire che riguarda l’Anticristo. Se ne parla, indiscutibilmente tanto, soprattutto in quegli ambienti nei quali un monaco come Dall’Oglio viveva, operava, quelli del cattolicesimo vivo e vigile. Se ne parla per l’affermarsi di una cultura che ci capovolge senza che neanche ce ne accorgiamo. Ma il destino di un popolo espulso, cacciato con il forcone dalla sua terra e respinto con altrettanta ferocia da quella che sperava essere la sua promessa di umanità non viene evocato. Mai. Cosa succede da anni nel campo profughi europeo di Moira? Cosa è diventata l’Europa che loro vivevano come la promessa di pace, di riscatto, di rientro nell’umanità? In quel campo profughi si suicidano i bambini… Più che un campo profughi da anni sembra un campo lebbrosi. Chi può entrare? Chi può far visita? Chi può raccogliere le suppliche di quei deportati? Essere dei deportati è diventata una colpa.
Tutto questo avviene da noi, nella nostra Europa, per scelta di alcuni poteri criminali come quello al potere in Siria, il sistema criminale di Bashar al Assad e per l’azione compiuta ormai da anni da un esercito “invitato”, quello russo e da milizie khomeiniste che tutti sappiamo essere guidate da Hezbollah. Ancora recentemente abbiamo saputo che in Siria l’Onu passava al comando russo le coordinate di scuole e ospedali affinché venissero risparmiate dalle azioni militari, ma poco dopo proprio in quel fuoco finivano.
E ampi settori delle chiese cristiane siriane cosa hanno detto di questo? Ampi settori delle chiese presenti in Siria hanno contestato, bofonchiato per così dire, per l’azione dell’unico leader mondiale che ha avuto il coraggio di indignarsi, e che ha avuto il coraggio di andare a Moira. Questo leader ha un nome, Francesco.
Non so se tanti scandalosi silenzi sulla Siria siano opera dell’Anticristo, io non padroneggio questo linguaggio. Però ne sento parlare e mi sorprende che nessuno trovi un legame tra una cultura anti cristiana e questa cultura che qui in Europa rimuove o addirittura giustifica.
Paolo sapeva che sarebbe successo: non sapeva proprio questi fatti ma sapeva che questo sarebbe stato il contesto nel quale ci saremmo trovati. Io lo so perché me lo disse e credo che oggi, felice per la liberazione di Silvia Romano, sia un dovere dire a Paolo Dall’Oglio che siccome ciò che vive dipende dai vivi io essendo vivo lo aspetto perché continuo a dire quel che lui mi ha fatto vedere quando appena cominciava ad accadere. Facendo questo si farà il possibile per impedire che chi deve cercare la verità si dimentichi, preso da altro, di Paolo.
Fonte: formiche.net