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Paolo Siani, triste dirlo ma il welfare criminale funziona meglio dello Stato

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«Triste dirlo, ma il welfare criminale funziona meglio dello Stato». È così che Paolo Siani ha commentato la notizia, emersa dall’inchiesta della Dda, che i clan della camorra per 35 anni hanno provveduto a sostenere le famiglie dei killer ergastolani del fratello Giancarlo, il giornalista ucciso il 23 settembre 1985

L’apporto economico, le cosiddette “mesate”, a coloro che sono “caduti nell’adempimento del dovere criminale” o a chi sta pagando con il carcere la sua fedeltà alla camorra, non è una novità per chi conosce le dinamiche delle mafie. Ma certamente può ritenersi singolare che per questi due killer, e per le loro famiglie, il flusso di denaro sia rimasto ininterrotto, per tutto questo tempo, malgrado il controllo degli affari illeciti sia passato per le mani di addirittura tre clan in quella zona del Napoletano: prima i Nuvoletta, poi i Polverino e infine gli Orlando.

Per Paolo Siani, fratello di Giancarlo, quest’indagine dimostra che la lotta alle mafie “non può essere lasciata solo ai magistrati e alle forze dell’ordine. Non bastano le manette e gli arresti. C’è bisogno di un grande intervento sociale sul territorio. C’è bisogno di ridare opportunità e speranza, perché il vero welfare che da benessere ai cittadini è quello dello Stato, non certo quello criminale”.

E per le famiglie Cappuccio e Del Core, “foraggiati” separatamente in cella, il welfare criminale non è venuto meno neppure quando tra i Polverino e gli Orlando, sono sorti attriti “armati”. Una circostanza che ha spinto gli inquirenti a ritenere che i servigi resi da questi due affiliati – che con le loro famiglie non hanno mai rescisso il vincolo criminale con i clan – fossero di caratura. Le cronache dell’epoca riportano che Cappuccio e Del Core dopo avere ucciso Siani, tornarono nel loro covo per festeggiare con i boss che avevano impartito l’ordine stappando una bottiglia di champagne. A decidere che Giancarlo dovesse morire furono i clan Nuvoletta e Gionta, con i boss Angelo Nuvoletta e Luigi Baccante. Una punizione per lavare l’onta dell’infamia. In un articolo Giancarlo scrisse che l’arresto di Valentino Gionta fu reso possibile grazie a una soffiata dei suoi alleati, i Nuvoletta, appunto.


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