Di Nuccio Iovine
Dopo quasi settanta giorni dalle misure di contenimento della diffusione del virus l’Italia riapre. Calano i contagi, i ricoveri e i malati in terapia intensiva per il Coronavirus. Diminuiscono i decessi. Al momento, tranne casi isolati e messi in conto gli errori macroscopici compiuti in alcune aree del Paese prima del lockdown e che ancora pesano come un macigno nella contabilità quotidiana degli effetti del covid-19, il comportamento degli italiani è stato improntato alla massima cautela e per fortuna continua ad esserlo. E tutto questo ha dato i suoi frutti. Appare stucchevole in queste ore leggere su alcuni quotidiani o ascoltare in alcuni programmi televisivi che la “normalità” è ancora lontana, che autobus e metropolitane non sono affollati come un tempo (e meno male), che chi può continuerà a lavorare da casa, che gli spostamenti sono ancora limitati e gli assembramenti per quanto possibile evitati. Mentre una parte del Paese, e della politica, smania a sbarazzarsi non del virus (che continua ad essere tra di noi, purtroppo) ma delle precauzioni, dei comportamenti e delle riflessioni che esso ha indotto, la maggioranza degli italiani sembra aver compreso bene che la cosa peggiore che potrebbe ora capitarci sarebbe un drammatico ritorno all’emergenza.
Il governo, non senza difficoltà e ritardi, ha provato a rispondere mettendo in campo misure di sostegno nell’emergenza e alcune scelte strutturali, come quelle in campo sanitario, indispensabili nell’immediato anche se non sufficienti per la prospettiva. Ha anche ingaggiato un confronto in Europa, anch’essa tentennante ed in ritardo, allo scopo di costruire una risposta comune non solo dal punto di vista economico finanziario, ma per il modello sociale e per gli equilibri che si determineranno nell’intero pianeta al termine della Pandemia. Si tratta di sfide inedite ed epocali, di un cammino certamente lungo in cui, però, già i primi passi saranno decisivi nello scegliere la strada della necessaria innovazione o il ripiegamento su vecchie e logore ricette. Basti pensare, solo per fare l’esempio più recente ed evidente, allo scontro appena avviato sul vaccino e sul suo utilizzo tra Stati Uniti, Europa ed altri Paesi. Se non perdiamo di vista lo scenario nel quale siamo costretti a muoverci possiamo valutare, e capire meglio, i comportamenti e le scelte di ciascuna delle parti in campo senza farci risucchiare, come nelle sabbie mobili, dalle polemiche quotidiane che tornano con prepotenza a occupare la scena politica e mediatica.
Innanzitutto c’è una parte del capitalismo italiano che pensa solo di ritornare, e presto, al vecchio modello di sviluppo. E’ rappresentata bene dal nuovo presidente incaricato di Confindustria, Carlo Bonomi, che ha scelto da subito lo scontro con il sindacato ed il governo, colpevoli di prestare troppa attenzione alle esigenze di sicurezza dei lavoratori e subito sostenuto non solo dalle destre all’opposizione, ma anche da settori dell’attuale maggioranza. Anche la polemica di queste ore sulla richiesta da parte di FCA di un maxiprestito da sei miliardi di euro garantito dallo Stato è indicativo di questa situazione, e le reazioni della stampa italiana nei suoi nuovi assetti proprietari la dice ancora più lunga. Ogni perplessità, critica, o condizione viene tacciata di lesa maestà. E la volontà di dare un indirizzo alla ripresa in cambio del sostegno dello Stato, dando delle priorità per il Paese e, dopo decenni, tentando di varare una nuova politica industriale viene liquidata come sovietismo.
In poche parole molti tra quelli che hanno urlato per anni sulla fine della distinzione tra destra e sinistra hanno iniziato una pesantissima campagna ideologica di destra, senza neanche provare ad interrogarsi sui fallimenti che hanno portato a questa situazione, alla crisi climatica, alle disuguaglianze mai così profonde ed alla concentrazione della ricchezza in così poche mani allo scopo di ritornare semplicemente allo “statu quo ante”. Nei confronti di questa offensiva occorre una risposta, in grado di alzare il tiro ed indicare una direzione di marcia diversa. Il governo, con le sue contraddizioni, da solo non può farlo e non sembra neanche in grado. Ecco perché servirebbe ora, e non domani, una iniziativa politica della sinistra, in tutte le sue diverse componenti, in grado di dare il senso di un cambiamento, di un’assunzione di responsabilità e di una rinnovata unità. Non un accrocco elettorale fatto all’ultimo minuto, o quando ci saranno le prossime regionali, ma un progetto politico che abbia l’ambizione di guidare il Paese fuori da questa situazione indicando una nuova prospettiva. Ci sarebbe da chiedersi: se non ora, quando?