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Non possiamo più tacere sulla Turchia

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Dopo che anche Ibrahim Gökçek, quarant’anni, si è lasciato morire di fame, portando a compimento il “digiuno alla morte” che altri musicisti turchi hanno intrapreso per risvegliare le coscienze del mondo sui soprusi di cui sono costantemente vittime, non possiamo più tacere sulla Turchia. La Turchia, infatti, è una dittatura, guidata da un despota che se ne infischia dei diritti umani, tiene in carcere gli oppositori politici, reprime con inaudita ferocia ogni forma di dissenso e pretende persino di dettar legge in casa d’altri, come ben sappiamo noi di Articolo 21, costretti a subire penosi allontanamenti ogni volta che abbiamo provato a manifestare sotto l’ambasciata turca a Roma per via delle reazioni del suddetto governo alla nostra legittima richiesta di protestare per le condizioni indecenti in cui versa la libertà d’espressione in quel paese.
Ebbene, dopo la morte di Helin Bölek, appena ventotto anni, e Ibrahim Göbçek, entrambi membri del Grup Yorum, una band musicale di ispirazione marxista-leninista che, a causa delle sue idee e dei suoi testi, ha subito in questi anni ogni sorta d’angheria, è doveroso alzare la voce per tutti coloro che, ovunque nel mondo, non possono più farlo.
Chiediamo al presidente Conte, che nella seconda edizione del suo governo ha dimostrato una statura e un’attenzione ai diritti umani che nella sua prima esperienza erano mancate, di non perdere di vista la necessità di una battaglia politica in Europa affinché sia l’Unione Europea a contrastare la disumanità che dilaga ai nostri confini.
Non è accettabile che la comunità internazionale rimanga in silenzio, o quasi, e che l’indifferenza regni sovrana di fronte a una nazione in cui non esiste più alcun rispetto per la dignità umana, in cui la democrazia, dopo il fallito colpo di Stato del luglio 2016, è stata messa definitivamente al bando e in cui la benché minima critica al potere può costare l’arresto e pene che arrivano fino all’ergastolo.
Non appena sarà possibile, è doveroso che anche in Italia si organizzi una grande manifestazione contro questa vergogna, che ci sia un presidio settimanale sotto l’ambasciata turca e, sin d’ora, sarebbe opportuno che avvenisse una mobilitazione mediatica al fine di non lasciar solo un popolo condannato a vivere in condizioni di totale assenza di libertà.
Le storie di Helin e Ibrahim, due musicisti che hanno pagato con la vita il prezzo del loro coraggio e della loro battaglia per rivendicare il proprio sacrosanto diritto a suonare, cioè a esistere e a esprimere le proprie idee, dovrebbero indurre ogni capitale europea a dedicar loro una strada o un qualunque luogo pubblico, dovrebbero spingere i governi occidentali a prendere posizione contro Ankara e, più che mai, dovrebbero far sì che sia interrotto ogni rapporto con un potere che non può essere tollerato ulteriormente, meno che mai sulla questione dei migranti. Sfidare le destre populiste in nome dell’accoglienza e della solidarietà dev’essere un dovere morale non solo per i progressisti ma anche per quell’ampia parte della destra che populista non è e che nel PPE dovrebbe prendere una posizione netta e inequivocabile contro il dilagare dell’orrore al proprio interno, a cominciare dai piccoli satrapi dell’est che, purtroppo, stanno facendo scuola.
Mentre concludo quest’articolo, apprendo che un terzo musicista, Mustafa Koçak, anche lui di ventotto anni, condannato all’ergastolo in seguito a un processo farsa, è morto lo scorso 25 aprile al termine di un digiuno estremo durato dieci mesi. E questo non fa che confermare tutto ciò che ho scritto, rafforzando l’appello a isolare un paese che si è posto fuori dai canoni della civiltà.

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