Con l’approvazione nel dicembre del 2010 della prima legge bavaglio voluta dal premier Viktor Orbán, l’Ungheria si è aggiudicata il primato, che ha poi consolidato nove anni dopo con l’istituzione del “Consiglio nazionale della cultura”, di primo caso in Europa di restrizioni della libertà di informazione.
Ma l’autoritario primo ministro ungherese è andato oltre e a fine marzo scorso. approfittando dell’emergenza Covid 19, ha fatto approvare dalla sua maggioranza un provvedimento che gli ha attribuito pieni poteri e ha introdotto nel codice di procedura penale nuove norme contro la stampa.
Dopo aver creato pochi mesi prima il “consiglio statale della cultura per orientare la cultura secondo idee nazionali”, con la nuova ‘legge di emergenza’ ha stabilito che coloro ritenuti responsabili di diffondere disinformazione sul coronavirus incorreranno in pene fino a 5 anni di carcere.
Non è dunque un caso che l’Ungheria sia ai vertici della classifica stilata da Reporter senza frontiere dei peggiori stati membri dell’Unione Europea per la libertà di stampa.
Eppure il portavoce di Orbán, Zoltán Kovács, non ha esitato a scagliarsi contro chi ha avanzato critiche alla legge, affermando che si trattava ‘solo’ di un reato specifico: la diffusione intenzionale di false informazioni o di articoli “che distorcano la realtà minando gli sforzi per proteggere il popolo ungherese dalla diffusione del virus”.
Insomma il governo non ha fatto mistero che le norme saranno applicate anche ai giornalisti indipendenti accusati di fare disinformazione per “vendetta politica contro Orbán”.
In una teleconferenza con giornalisti stranieri la scorsa settimana, il ministro della giustizia ungherese, Judit Varga, aveva dichiarato che le nuove disposizioni penali erano “adeguate e necessarie per combattere campagne di fake news maligne”.
La maggior parte degli operatori dell’informazione indipendenti in Ungheria, pur non credendo che la legge possa portare a incarcerazioni di massa come in Turchia, ha tuttavia dichiarato di essere profondamente preoccupata.
Nel corso delle ultime settimane c’era stata una serie di accuse da parte di commentatori allineati al governo che chiedevano di punire duramente i giornalisti “allarmisti”.
Márton Békés, redattore di una rivista filogovernativa, ha dichiarato nel corso di una trasmissione sul canale HirTV che l’Ungheria era in una “situazione di guerra” e che alcuni organi di informazione dell’opposizione stavano “facendo apertamente il tifo per il virus”.
Un altro ospite del programma aveva invece suggerito di arrestare i giornalisti che diffondevano il panico.
Se resta da vedere cosa accadrà agli operatori dell’informazione non allineati, di certo la nuova legge renderà le fonti ancora più caute rispetto a prima riguardo al parlare con i media.
Diversi medici hanno rifiutato di rispondere alle domande del Guardian nelle ultime settimane adducendo come motivazione i “rigidi ordini dalla direzione dell’ospedale”.
Un giornalista ungherese televisivo ha affermato di non essere stato in grado di seguire un’inchiesta sui casi di coronavirus in una scuola perché tutti avevano paura di parlare, anche se in forma anonima.
“La gente aveva paura di essere avvicinata dai giornalisti, perché temevano di perdere il lavoro. Non solo medici e infermieri, ma anche presidi e genitori della scuola ” ha detto chiedendo lui stesso l’anonimato.
Intanto Orban, in un’intervista radiofonica questo fine settimana, ha accusato il finanziere filantropo George Soros di essere dietro gli attacchi alla legge che gli ha attribuito i pieni poteri.
Accuse ricorrenti che hanno il solo obiettivo di distrarre da ciò che ormai è sotto gli occhi di tutta l’Europa: lo Stato di diritto in Ungheria è ormai solo un pallido ricordo.