Qualche giorno fa, se n’è andato, a 94 anni, uno degli ultimi interpreti della lunga stagione del cinema dei grandi (della stessa generazione di Philippe Noiret) – di quel cinema che aveva impresso i suoi primi fotogrammi in bianco e nero e poi aveva raccontato il secolo passato – se n’è andato Michel Piccoli, artista francese di origini italiane. Attore, regista e sceneggiatore, è stato sempre impegnato politicamente, in modo esplicito, schierandosi dalla parte del Partito Socialista Francese, decisamente ostile al partito di estrema destra Front National e sempre presente con l’esempio e le scelte artistiche in tutte le campagne sociali e progressiste. Compagno e poi marito di Juliette Greco.
Aveva uno sguardo intenso, contemporaneamente ironico, delimitato da profonde sopracciglia nere, le labbra sottili sempre predisposte a un sorriso accennato e dolce, capace di esprimere sensualità e tenerezza ma anche in grado di accompagnare lo spettatore dentro la sua stessa vita con una gestualità aperta, camminate lente, movimenti delle braccia e del capo che commentavano e svelavano le storie di cui è stato protagonista.
Ha cominciato a recitare nella Francia ancora distrutta dai bombardamenti della Seconda guerra mondiale, diventando interprete di quell’età e di quel desiderio di rinascita.
Ha poi conosciuto la notorietà negli anni 50, a partire dal film di J.Renoir French Cancan.
E’ stato molto amato dai registi spagnoli, in particolare da Buñuel che lo scelse per La selva dei dannati nel ‘56 e per Bella di giorno nel ‘67, il film scandalo che vinse il Leone d’oro a Venezia, dove si trovò ad affiancare Catherine Deneuve, e poi ancora l’anno successivo per La via lattea, nel ‘72 ne Il fascino segreto della borghesia, nel ‘74 Il fantasma della libertà, nel ‘75 Leonor.
Nel ‘63 Jean-Luc Godard lo volle accanto a Brigitte Bardot per girare un film sul mondo del cinema, Il disprezzo, poi nell’82 in Passion.
Ha lavorato per Louis Malle e Claude Lelouch negli anni 80.
Decine sono stati i riconoscimenti internazionali, dalla Palma d’oro al Leone d’oro, ai David di Donatello ai Nastri s’argento.
L’Italia lo ha sempre considerato un suo figlio, per questo si tratta di una grande perdita anche per il nostro cinema.
Lo avevano scelto Marco Ferreri (La grande abbuffata, Non toccare la donna bianca, L’ultima donna), Elio Petri (Todo modo), Ettore Scola (Il mondo nuovo), Sergio Corbucci (Giallo napoletano), Marco Bellocchio (Gli occhi, la bocca), Sergio Castellitto (Libero burro), lo aveva voluto come protagonista Nanni Moretti in Habemus papam che è stato tra i suoi ultimi film.
Certamente è questa l’immagine che resterà nei nostri occhi di spettatori e nei nostri cuori.
Un piccolo papa che cammina per le strade di Roma, turbato, disorientato, pensieroso, spaventato ma con la meraviglia negli occhi lucidi. Il film, del 2011, pensato e scritto da un profetico Nanni Moretti, ha anticipato l’idea impensabile delle dimissioni del papa di ben due anni.
Con i segni di un’età avanzata, il fisico appesantito, il passo lento, le sopracciglia bianche, le labbra circondate da piccole rughe, Michel Piccoli è entrato nel ruolo di un pontefice scelto per strategie politiche ma assolutamente fuori ruolo, impreparato e confuso. Aveva reso magnificamente quel senso di sgomento e fallimento interiore. Nanni Moretti aveva costruito un personaggio surreale che si rivelò iper-realistico; un pontefice che ha bisogno del sostegno di uno psicologo, che cammina per le strade di Roma in incognito per recarsi allo studio della dottoressa che, ignara di chi sia davvero il suo paziente, lo ascolta.
Quell’attore eclettico e senza maschera, interprete esperto ha attraversato la storia del cinema per insegnarci quanto sia grande il regalo che il cinema ci fa, sempre.