Ci vuole un enorme cinismo per fare un titolo così orribile. E ne serve, se possibile, una dose supplementare in questi giorni, quando ancora stiamo contando i morti nell’ordine delle centinaia al giorno e migliaia di famiglie non hanno ancora potuto avere nemmeno la tristissima consolazione di andare a piangere su una tomba la persona che se ne è andata. Il Paese vive con compostezza un periodo che per molti è di lutto, risuonano sacrosanti appelli alla responsabilità individuale che sola può garantirci la ripresa di una vita collettiva non schiacciata dai rischi.
Ma la macchina dell’odio non può essere mica tenuta ferma in garage: se si dà ascolto a questi appelli il motore rischia di incepparsi e di non produrre più i mirabolanti risultati di consenso che ha saputo garantire in questi anni. E allora bisogna fare il pieno e ripartire a tutta velocità. Basta versare nel serbatoio una oscena miscela composta di trentamila morti e seicentomila migranti. Non c’è nessuno “scambio svantaggioso”, le due categorie non c’entrano nulla l’una con l’altra: i trentamila sono morti per un virus, i seicentomila sono quelli chiamati a lavorare nei nostri campi – dove ora frutta e verdura rischiano di marcire – e nelle nostre case per preziose azioni di cura. Ma la verità non conta, se urge far tornare a salire il tasso di paura e di diffidenza sociale: il virus diventa un “pretesto” per realizzare finalmente quella “sostituzione etnica” che i nemici del popolo italiano lucidamente perseguono da anni, e che grazie al Covid19 questo governo avrà finalmente la possibilità di realizzare. Una gigantesca tragedia collettiva, la più drammatica vissuta dal Paese dalla fine della guerra, trasformata in una ghiotta occasione per dare diritti a “un esercito di clandestini”, naturalmente a danno di “milioni di italiani che perderanno il lavoro”.
Abbiamo celebrato da pochi giorni la Liberazione italiana e il valore assoluto della libertà d’informazione per noi e per il mondo intero. Appassionati all’articolo 21, dobbiamo ripetere ancora una volta che l’articolo 21 non è il lasciapassare del razzismo e dell’odio sociale: non può essere il manganello col quale colpire altri diritti costituzionalmente non meno importanti di quello di informare.
“Preghiamo oggi per gli uomini e le donne che lavorano nei mezzi di comunicazione. In questo tempo di pandemia rischiano tanto e il lavoro è tanto. Che il Signore li aiuti in questo lavoro di trasmissione, sempre, della verità”. Le parole odierne di Papa Francesco dobbiamo meditarle tutti, sempre. Ma stamattina, scorrendo la rassegna stampa, una dedica veniva spontanea…