Quanti sono quelli che, come me, hanno fatto un patto con Amazon? Che se non è un patto col diavolo poco ci manca. Sappiamo tutti di quanto la multinazionale sfrutti il lavoro di chi sgobba nei suoi magazzini per garantire ai nostri acquisti on line affidabilità, prezzi bassi e consegne puntuali. Sappiamo anche che con le vendite a domicilio in questa pandemia ha moltiplicato incassi multimiliardari con margini superiori al 25 per cento del suo fatturato. Ciò che le ha consentito non solo di investire in tecnologia ma anche di indebitarsi a buon prezzo con le banche in circostanze difficili come l’attuale, continuando a sterminare la concorrenza.
Gli affari in Italia.
Non sappiamo invece a quanto ammonti il suo giro d’affari in Italia. Per accertare il quale, ci spiegherà oggi sulla 7 Milena Gabanelli come ha già fatto stamani sul Corriere della sera, il nostro governo dispone in pratica soltanto di un’auto dichiarazione del suo management. E che si tratti di una somma di gran lunga inferiore a quella effettiva non ci vuole troppo ad immaginarlo.
Il modo ci sarebbe
Per la verità il modo di accertare la vera entità dei suoi affari ci sarebbe. E qualcuno, con la legge di bilancio del 2018, l’aveva già proposto al governo, come ci ha ricordato la nostra bravissima collega. Basterebbe che chi vuol vendere attraverso Amazon, vero o finto commerciante che sia (perché ci sono anche quelli), versasse l’IVA non direttamente allo Stato ma attraverso Amazon che a sua volta, come sostituto d’imposta, potrebbe versarlo all’Agenzia delle Entrate. Peccato che questa eccellente proposta, come tante altre che varrebbero a stanare le grandi multinazionali del web da una sistematica elusione con i paradisi fiscali , sia stata stralciata quell’anno dal decreto prima della conversione in Parlamento.
Boicottaggio?
A questo punto, mi sembra già di sentire qualcuno proporre un boicottaggio di massa tra i cittadini per obbligare al suo dovere fiscale il gigante delle vendite online. Proposta che si potrebbe anche prendere per buona se avesse serie probabilità di diventare, appunto, di massa. Ma chi è disposto a credere oggi che i consumatori italiani, tartassati come sono in questa congiuntura epidemica, accettino di sacrificare l’indubbio vantaggio offerto con la ricerca e l’acquisto di quei prodotti per uno “sciopero” di pura testimonianza?
Diverso sarebbe se a promuovere e organizzare quel boicottaggio fosse un vero partito di massa. I Cinque Stelle? Una sinistra davvero unita? Mi pare improbabile. Ma se almeno da quella parte venisse una sollecitazione alle istituzioni per recuperare e rilanciare la proposta di legge di un anno fa sarebbe già un bel risultato.