È ambientato in un futuro pericolosamente prossimo l’ultimo romanzo di Maria Rosa Cutrufelli L’isola delle madri. Fra venti trent’anni circa, vicino a quella data in cui già oggi meteorologi e studiosi dell’ambiente pongono un punto di non ritorno per la salvezza del nostro pianeta. È un ambiente in cui tutti quelli che nella nostra vita di oggi sono segnali ormai inequivocabili di un disastro ambientale – l’inquinamento,le piogge improvvise e distruttive, le esondazioni, lo scioglimento dei ghiacciai, l’erosine delle coste, il perdersi delle stagioni, la siccità, le desertificazioni – sono arrivati al limite estremo, alla situazione di quotidianità.
Lo spazio viene percorso dai movimenti dei personaggi dalle coste atlantiche dell’Africa all’Europa centrale, compresa l’Italia, all’Europa orientale. È uno spazio lacerato da sbarramenti, confini, frontiere, posti di blocco, uno spazio dove è difficile, a volte impossibile, muoversi liberamente.
Espropriato, bruciato, violentato da nuovi colonizzatori, per lo più cinesi, il territorio dell’Africa. Divisi da numerosi sovranismi, a volte in guerra tra loro, staterelli dell’Europa orientale che ambiscono a separarsi dalla Madre Russia o a unirsi a essa. Battuta da piogge acide, colonizzata dalla plastica, preda di un inquinamento che ormai incide gravemente sulla salute dei corpi l’Europa occidentale. Un’inquietante fotografia di un nostro possibile prossimo futuro.
Tutta questa situazione non è stata senza conseguenze sull’essere umano e uno scienziato, il biologo dott. Weaver già da anni è riuscito a far includere la “sterilità” nell’elenco mondiale delle pandemie prima e delle malattie poi. “Finché Il Grande Vuoto non aveva spazzato la terra, allora era diventata la malattia e, per curarla […] era subentrata la biotecnologia e mentre una volta, per generare, ci volevano due corpi adesso è sufficiente qualche cellula. Qualche cellula e un micromanipolatore.”
Questo lo scenario in cui si muovono i personaggi.
È una storia di nascita L’isola delle madri, ma il racconto si snocciola lentamente attraverso le vicende di alcune donne, Sara, Kateryna, Livia, Mariama, le Fate madrine di Nina, la voce narrante che ricostruisce la sua nascita. Sono donne le cui vicissitudini, spesso drammatiche, le hanno spinte da quei luoghi travagliati che abbiamo descritto fino all’isola delle madri, al centro del Mediterraneo. Sono donne mosse da un forte attaccamento alla vita, un senso di sé che non viene meno neanche di fronte alle peggiori negazioni, come quelle che subisce Mariama nel suo viaggio di migrante dall’Africa. Donne che nei loro paesi non aderiscono a scelte politiche violente, ma che alla violenza si debbono sottrarre sempre e si interrogano sul senso etico delle proprie azioni e della vita, così come si è configurata nel loro tempo. Per vie diverse e con ruoli differenziati prendono parte al progetto di conservazione della vita dell’isola delle madri, in un periodo in cui la sterilità dilagante ha portato a una larga applicazione delle biotecnologie, non senza dubbi e sofferenza da parte di chi le accetta, opposizione di gruppi violenti, rischi di strumentalizzazioni economiche e continui spostamenti di frontiere etiche. Come la possibilità di scelta, in alternativa alla fecondazione artificiale, dell’utero artificiale. Soluzione che mette in ballo finanziamenti occulti e ricchi brevetti, a cui il dott. Weaver e l’idea che ispira il Centro medico dell’isola delle madri si oppongono perché l’utero artificiale non aiuta a sconfiggere la malattia del vuoto e socialmente sarebbe una scelta antieconomica, accessibile solo a pochi ricchi. Il dott. Weaver si preoccupa piuttosto di potenziare la ricerca per arginare la minaccia estrema di quando potrebbero non più esserci gameti fertili e si vedrebbe entrare in sala parto l’ultima madre.
È attraverso la storia di Livia, la docente di letteratura antica che, dopo aver accettato la sterilità propria e del marito, decide di accogliere un figlio generato attraverso le biotecnologie, che viene posta la domanda cruciale: cos’è una madre? Ma questa è una domanda universale, che attraversa i secoli e non a caso è stata posta nel convegno universitario a cui Livia ha partecipato “Dalla Madre alle madri, un percorso storico”, proprio nell’isola delle madri, l’isola di Demetra e Persefone. È una domanda con cui ciascuno di noi ha fatto o deve fare i conti nella propria vita. Tuttavia, nella realtà che sta vivendo, nella quale la vita non è più frutto di due corpi ma di una donazione e di tre donne che partecipano alla creazione e si alternano nella funzione di madre, Livia si risponde che quello è un interrogativo fuorviante perché la vera domanda è: che cos’è la maternità? “Questo evento che attraversa il corpo delle donne e va oltre. Che possiede una forza estranea eppure intima. Terribilmente intima, perché si nasce in due, anche se poi si muore soli”.
Che cos’è che tiene insieme questa maternità frammentata fra tre madri, la mamma uovo, la mamma canguro e la mamma giardiniera? Il valore e la cura della relazione che intercorre tra queste tre donne e tra ciascuna e la creatura che viene al mondo.
Nel disastro del mondo lasciato dal Grande Vuoto le protagoniste di questa storia curano le relazioni, non sempre facili e ritengono non inutile il lavoro di rammendo di quel mondo, perché quando nella casa di maternità nascono nuove vite dentro lo strappo profondo del Grande Vuoto “l’idea di futuro si fa strada”. E ogni madre, come sempre, sarà chiamata col nuovo essere al compito della narrazione, perché è un desiderio di tutti conoscere come si è nati, perché si è nati: riattraversare lo spazio della propria storia per nascere come individui. Ed è ciò che ha cercato di fare Nina.
L’immagine della nascita naturale delle tartarughe marine sulle coste dell’isola, tornate a nidificare grazie alla cura di alcuni biologi marini che sono riusciti, bonificando il territorio, a ricreare una porzione di ambiente naturale, fa nascere la speranza che non debba per forza esistere anche per noi una Casa di maternità per conservare la vita: dipende dalla cura che impegneremo per salvare l’ambiente.
Come ci dice nella nota a margine, l’autrice paga con questa storia un debito d’amore e di gratitudine verso il padre, uno scienziato chimico. Di lui ha sempre portato con sé il ricordo delle storie con le quali, nei lontani anni Sessanta, le raccontava del degrado dell’ambiente e dei suoi effetti perniciosi sulla vita, che già allora erano osservabili.
Maria Rosa Cutrufelli, L’isola delle madri, Mondadori, 2020