Nella vallata dello Stilaro è storicamente attiva la cosca mafiosa denominata “Ruga – Metastasio – Loiero – Gallace – Novella”, operante nei territori compresi fra i comuni di Stignano (RC) e Santa Caterina sullo Jonio (CZ).
La cosca riconducibile ai Gallace nel corso degli ultimi 50 anni, da vecchia mafia rurale, si è trasformata in una vera e propria impresa criminale attraverso tutta una serie di attività illecite, dai sequestri di persona a scopo di estorsione, alle estorsioni a commercianti ed imprenditori, al traffico e spaccio di sostanze stupefacenti, truffe e usura, attività che hanno consentito una crescita della potenza militare ed economica ed un controllo sempre più penetrante sul territorio, operante essenzialmente nei comuni della fascia ionica a cavallo delle province di Catanzaro e Reggio Calabria, sia nei comuni di Anzio, Nettuno, Ardea e in misura minore Roma sia in alcuni centri della periferia milanese, quali Arluno, Bollate, e Rho e nell’area toscana di Valdarno. Ad oggi è una delle cosche più potenti e sanguinarie in cui i vincoli parenterali già esistenti sono frequentemente rinsaldati con matrimoni incrociati.
Delitti che si sono verificati a partire dal 1968 fino al 1996 nel territorio di dominio del «locale» attivo di Guardavalle
La progressione criminale dei Gallace ha inizio negli anni 1968 quando Daniele Bruno uccideva Tedesco Vincenzo Bruno e feriva il figlio Liberato. L’omicidio scaturiva da un precedente agguato che Tedesco Liberato e Gallace Vincenzo tendevano al DanieleBruno quando, insieme al figlio Daniele Antonio, stava per uscire dall’abitazione della fidanzata di quest’ultimo, nel corso del quale restavano entrambi feriti. Il 1° gennaio 1974, inizia la faida di Guardavalle dove rimanevano uccisi i fratelli Randazzo Luigi, e Randazzo Domenico, mentre erano intenti ad attingere acqua alla fontana pubblica. In esito alle indagini condotte in relazione ad alcuni degli omicidi e tentati omicidi perpetrati in tale contesto: Gallace Agazio, Gallace Vincenzo, e Tedesco Nicola venivano condannati ad 20 anni di reclusione, contestando tra l’altro a questi ultimi l’aggravante “di aver agito per motivi abietti in quanto miravano tutti all’eliminazione di una famiglia rivale nel controllo delle attività illecite della zona di Guardavalle. Nelle perverse logiche sanguinarie della faida, è d’obbligo mantenere alta la tensione del conflitto dimostrando di essere pronti a colpire in qualunque momento gli avversari. La relazione interna di base delle famiglie mafiose calabresi è costituita dalla parentela biologica di primo grado. Se si analizza la composizione interna dì alcune tra le più potenti cosche della Calabria, si rileva come nessuna di esse risulta composta, nel suo nucleo familiare fondamentale, da meno di tre fratelli. Essa tende ad imporsi su ogni altro tipo di relazione, e col tempo tende ad avvolgere in modo sempre più vincolante tutti i membri del gruppo criminale, data la pratica sempre più diffusa dei matrimoni tra cugini creando una “’endogamia di ceto” caratteristica della ‘Ndrangheta, rendendola chiusa alle influenze ed ai contatti con la società legale. La cellula elementare dell’organizzazione della ‘ndrangheta, è la ‘Ndrina che ha competenza su una limitata area territoriale. Il Locale “riconosciuto” ha, secondo le regole, possibilità di articolarsi, costituendole, in un numero massimo di sette ‘ndrine; la Settandrina è l’area geografica comprendente il territorio di sette Locali con a capo ciascuno un distinto capo-società.
La presenza del clan si consolida negli anni nelle realtà di Anzio, Nettuno ed Ardea. Le indagini della DDA di Roma, Catanzaro, Milano e Reggio Calabria delineano uno “spaccato” del potere criminale del clan sul territorio laziale. Un potere che passa attraverso la gestione del traffico di stupefacenti, un traffico diretto-secondo il collaboratore di giustizia Paolo Bacchiani –verso la capitale ed i quartieri di San Basilio e Tor Bella Monaca. Il ruolo dei Gallace a Roma è riconosciuto anche dalle altre organizzazioni criminali mafiose. Gli interessi del clan emergono anche nell’inchiesta contro il clan Fragalà legato a cosa nostra catanese e colpito nell’inchiesta Equilibri del 4 giugno del 2019. Illuminante è un’intercettazione tra Alessandro Fragalà boss dell’omonimo clan ed un uomo del clan: “Tor Bella Monaca, cisono gruppi ed i gruppi appartengono ad altri e ‘sti altri sono calabresi… e là ci sono ti ho detto i Pelle, i Gallace”. La forza del clan sui territori è caratterizzata anche da un alone di “invincibilità” che si è creato: grazie alla durata, lunghissima, del principale procedimento che ha riguardato il clan Gallace sul litorale romano. L’inchiesta Appia che è la principale indagine della DDA della capitale, la cui genesi risale al 1998, ha portato all’esecuzione degli arresti nel 2004 mentre solo nel 2018 si è concluso il processo d’appello, allo stato, anche a causa della pandemia del Covid 19, la corte di cassazione non si è ancora pronunciata sul carattere “mafioso” del clan. A distanza di 22 anniinfatti il processo Appia non si è ancora concluso.. Negli anni invece sono state molteplici le inchieste della DDA di Milano, Reggio Calabria, Catanzaro e in parte Roma che hanno delineato il carattere di struttura mafiosa del clan Gallace. Non è un caso poi che il primo consiglio comunale sciolto per mafia nel Lazio il comune di Nettuno nel 2005 insiste nel territorio del clan. Il clan negli anni è riuscito a “costruire” un reticolo di rapporti con esponenti della malavita locale, narcotrafficanti internazionali ed imprenditori locali. Ed è questo uno dei punti di forza del clan: aver saputo cooptare e coinvolgere nel business del narcotraffico gli esponenti della criminalità organizzata laziale, moltiplicando così la forza “militare” dell’organizzazione, raddoppiando così i suoi contatti, arrivando a creare vaste zone di consenso sociale tra i soggetti coinvolti, a vario titolo, nel business degli stupefacenti: persone arruolate nel settore dello spaccio, soggetti “insospettabili” delegati alla “custodia” della droga (la cd retta),imprenditori impegnati nel riciclaggio e nel reimpiego nelle attività commerciali del territorio laziale. Con questa enorme disponibilità di denaro dovuta al narco traffico, con questo consenso sociale è verosimile pensare che il clan potrà, anche attraverso “colletti bianchi”, approfittare della crisi economica dovuta al Covid 19, crisi ancora più forte nelle comunità del litorale laziale. Infatti in queste località il turismo, settore già in crisi covid, rappresenta la “spina dorsale” dell’economia locale.