Oggi la contraddizione principale è la pandemia, con i suoi innumerevoli effetti collaterali, che si innestano sul tema di per sé gravissimo della salute. Ma non è un semplice evento.
La crisi economica, persino inedita nei tratti distintivi, non è scalfibile senza un ripensamento profondo del ruolo dello stato dopo l’ubriacatura liberista e se non si adottano strumenti come una tassa patrimoniale progressiva nonché un reddito minimo permanente (finalmente l’Europa sembra svegliarsi dal letargo) per i ceti che vivono il dramma della povertà o del precariato perenne. E, poi, è evidente la necessità di ristabilire con attenzione i confini invalicabili dei diritti costituzionali. A partire da quelli delle persone. Il virus, del resto, ha scardinato la fisionomia concreta di un capitalismo (ma pure dei suoi “becchini”) già in fase di ridefinizione. Amazon, Google, Apple o Facebook, ad esempio, hanno guadagnato non poco grazie alla tragedia, che ha costretto tanti ad utilizzare i servizi offerti, offrendo gratuitamente i propri dati ai dittatori degli algoritmi. Come “L’opera da tre soldi”.
Il salto da compiere sta nel territorio dei rapporti sociali di produzione e riproduzione, nella cui intelaiatura si gioca la partita. E’ in corso un corpo a corpo, che – però- tarda ad assumere le sembianze del conflitto. Tra una fisionomia definitivamente divisa tra una minoranza abbiente e ricca, e una grande maggioranza in difficoltà o in grave indigenza. Tra il soffocamento della natura e della terra, e una reale cultura green. Tra il determinismo delle macchine e un nuovo umanesimo. Tra la sorveglianza di massa e la tutela della privacy: ad esempio, l’impostazione dell’app “Immuni” è da rivedere, regalandosi un potere improprio agli Over The Top.
Tra un’indomabile declinazione al maschile dell’universo e una sintassi paritaria tra uomo e donna.
Ovviamente, tra saperi diffusi e ignoranza imposta a cittadini-sudditi. Se si riavvolge il nastro, ecco riapparire l’attualità di valori fondamentali oggi così offuscati: antifascismo, antirazzismo, culto per le libertà.
Ecco. Il governo attuale, con i limiti evidenti che esprime, è un ponte verso una inevitabile altra età, dal colore al momento indefinito. Potrebbe persino macchiarsi di nero, se prevalessero le idee della Confindustria in economia e quelle alla Orban nel pluralismo dell’informazione. O di Trump e di Johnson in un rinnovato bellicoso atlantismo. Tra l’altro, non è venuto il momento di aprire gli armadi della vergogna della guerra fredda?
Il rischio è concreto, perché purtroppo la mala pianta si è diffusa e ha radici tenaci. Persino al di là di Matteo Salvini o di Giorgia Meloni.
Il governo Conte è nato dopo un torrido agosto in seguito alle esibizioni sguaiate di Salvini, che neppure Tarantino avrebbe inserito in un film. Non serve scoprire complotti, visto che la realtà è assai più sorprendente di una fiction televisiva. Infatti, ciò che accade è sotto i riflettori. Gruppi di potere, Confindustria, lobby, salotti, mafie, consorterie non sopportano che la ricostruzione post-pandemia possa avvenire senza mettere le mani sui flussi di danaro. Che si evochi un improbabile accrocchio di “larghe intese” o si ricorra al santino di Draghi è la conseguenza, piuttosto che l’origine di un’operazione materialistica nel senso volgare del termine. Per raggiungere simile traguardo, ecco entrare in scena l’editoria “impura” con i suoi plateali conflitti di interesse. L’atteggiamento subalterno di Repubblica-Stampa sulle garanzie chieste a Sace per un prestito di 6,3 miliardi da parte di Fca (prodiga, però, nei dividendi) è l’esempio recente, ma certamente non isolato. Di un feudalesimo tecnologico, in cui prevale il “terribile” diritto di proprietà.
E’ toccato al vicesegretario del partito democratico gridare che “il re è nudo”. Sì, è nudo e pornografico. Dopo l’urlo, però, segua un progetto. A cominciare dalla ri-fondazione di uno stato innovatore, direttamente presente nelle imprese.