Il mondo post-pandemico sarà popolato da neo-autoritarismo e populismo. Lo ha scritto Edgar Morin, nel pieno della pandemia ed oggi suona come un’oscura premonizione per il mondo che sarà. Lo si intuisce soprattutto quando vedi che in una grande città europea come Parigi, con tassi di mortalità vicini a quelli della Lombardia, sono addirittura gli infermieri a scendere in piazza davanti ad un ospedale per far rispettare i propri diritti, sempre calpestati quando la situazione comincia a normalizzarsi e l’epidemia sembra allontanarsi, immediatamente tirati fuori dal cassetto e rispolverati quando la situazione si fa critica. I salvatori, gli eroi, costretti a manifestare accerchiati da un apparato poliziesco degno delle epoche più buie dei gilets gialli o delle manifestazioni contro la riforma delle pensioni: se me lo avessero raccontato un mese fa non ci avrei creduto. Medici ed infermieri sembravano in questi ultimi mesi come rivestiti da un’aura di forza, eroismo, fragilità, umanità. Chi avrebbe mai pensato che per farsi ascoltare avrebbero dovuto infrangere le leggi dell’emergenza sanitaria provocando pericolosi assembramenti e per di più senza mascherine perché in Francia scarseggiano?
Ed è così che avvicinandomi alla manifestazione ed impossibilitato a proseguire con l’auto, la lascio a pochi metri per filmare quanto accadeva. In effetti l’apparato poliziesco appariva oltremodo spropositato rispetto al numero di manifestanti e mi sono detto che c’era qualcosa che non quadrava. Avvicinandomi di più ed iniziando a filmare sono stato preso in una tenaglia di polizia in tenuta antisommossa che ha cominciato a caricare i manifestanti costringendoli in un angolo morto della strada. Ho continuato a filmare noncurante anche perché ho seguito tante manifestazioni in Francia e sentivo di non aver nulla da temere. Avendo lasciato però l’auto a pochi passi, avevo dimenticato in auto anche la mia mascherina. Ma non ero inizilamente preoccupato perché ero a grande distanza da chiunque, il boulevard era vasto e spazioso. Intanto però il cordone di polizia, minaccioso, ci stringeva sempre di più a colpi di manganello, stritolandoci ed azzerando qualunque distanza sociale. Ci siamo ritrovati in brevissimo tempo una cinquantina stretti l’un l’altro, con le spalle al muro sotto un sole cocente. Ho capito che la situazione era molto pericolosa, esplosiva dal punto di vista sanitario perché pochi indossavano la mascherina. Ho smesso di filmare e ho chiesto di poter uscire perché non c’era abbastanza distanza sociale ed era pericoloso avendo lasciato la mascherina in auto. Non mi hanno ascoltato. Ero attorniato da infermieri, persino senza mascherine, ed altri giornalisti. Allora ho tirato fuori la mia tessera internazionale ed ho spiegato che ero lì per documentare la manifestazione, che avevo finito di filmare e che volevo andarmene. Ne avevo la facoltà ed il diritto. Mi hanno detto: “Non c’importa della tua tessera stampa, tu stai qui e non ti muovi fin quando te lo diciamo noi”. Il tono perentorio del poliziotto non mi lasciava margine di manovra. Con me un altro giornalista di RTL ed un collega della radio francese inebetiti da questo diniego, senza parole. Perché non ci lasciano uscire e ci tengono stretti l’un l’altro? Vogliono forse provocare un nuovo focolaio? Intanto la gente era sempre più accalcata. Così sono rimasto, per un’ora sotto il sole, a zero distanza sociale, assieme ad una cinquantina di persone, come carcerati, come infermi, come reietti che non possono muoversi e nessuno può toccare senza poter uscire per recuperare la mia mascherina, tornarmene a casa, distanziare tutte quell persone che erano troppe per i metri quadrati che la polizia ci concedeva (voleva liberare la strada per far passare le auto e chissenefrega se noi restavamo schiacciati contro un negozio chiuso). Ci siamo seduti a terra, io sono rimasto in piedi per prendere aria, non capivo assolutamente cosa accadeva. Con tutte le manifestazioni che ho seguito, persino con gli attentati non avevo mai vissuto un’esperienza simile. Ovvero in quel contesto, per la prima volta, ho sentito che la mia tessera stampa non valeva nulla, che ogni mia parola era vana, che ogni diritto era stato sospeso, che la stessa libertà di documentare e di informare veniva ciecamente soppressa in una sorte di punzione collettiva che Foucault avrebbe riconosciuta come distintiva di un’epoca, la nostra, quella post-pandemica, che non promette nulla di buono e che invece sembra presagire un giro di vite senza precedenti sulle nostre libertà.
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