Fino a oggi non ho mai pronunciato una sillaba nei confronti di Vittorio Feltri, quello che dice, scrive, lascia scrivere sul suo giornale. Per due ragioni, che forse c‘entrano come i cavoli a merenda, ma per me contano.
La prima: tanti anni fa, direttore responsabile del “Male” sono stato subissato da querele e denunce le più assurde; sono stato arrestato; per una battuta scherzosa nei confronti di un magistrato sono stato condannato a due anni e sei mesi senza la condizionale dai colleghi di quel magistrato, prima a Perugia poi a Orvieto; solo la Cassazione ci ha poi messo una toppa, altrimenti li avrei dovuti scontare.
Da quel momento ho giurato a me stesso che non avrei mai presentato querela nei confronti di alcuno; neppure a quel collega, da sempre impegnato prima nella sinistra estrema, ora parte lui sì, molto organica della sinistra al cachemire e conduttore di trasmissioni televisive clandestine, che papale papale una volta ha scolpito in una sua rubrica su “L’Espresso” che scrivo le cose che alla mafia fa piacere siano scritte. Mi sono limitato a incorniciare l’articolo in bagno, sopra la tazza del water.
La seconda ragione è che non dimentico come Feltri, inviato al maxi processo di Napoli che tra i mille altri, vide impigliato Enzo Tortora, letteralmente sputtanò, e con ragione, tanti colleghi della giudiziaria. Una cronaca, quella pubblicata dalla “Domenica del Corriere”, che andrebbe insegnata nelle scuole di giornalismo, una sorta di “Ricordeve del poaro fornareto” che si dovrebbe ripetere a ogni giudice prima del ritiro in camera di consiglio.
Queste due ragioni mi hanno sempre impedito di unirmi a quanti hanno invocato sanzioni e provvedimenti nei confronti di Feltri, anche quando c’eranofondatissimi motivi per farlo. In fin dei conti, ho sempre pensato, il lettore compera il suo giornale e legge i suoi articoli, o ascolta i suoi interventi perché vuole farlo.
Non è un obbligo. Se non li condivide, basta non comperare il giornale, non leggere l’articolo, non ascoltarlo quando parla…
Il lungo preambolo, per dire che non ho cambiato idea. Ma il titolo che campeggia su “Libero”: “Uno scambio svantaggioso. In Italia trentamila morti rimpiazzati con 600mila migranti”… Forse è una bella idea di Feltri, forse lo è di Pietro Senaldi, di qualcun altro, non so e non m’importa saperlo. Sotto la testata, comunque c’è scritto “direttore Vittorio Feltri”. Ecco, un titolo come questo è avvilente, offensivo, volgare: quei trentamila morti, ognuno di loro è morto di una brutta morte. Non un infarto, colpo secco e via: una agonia tremenda, soffocati, soffrendo, in solitudine. E quei 600 migranti: ma davvero davvero pensiamo che lascino, quelle donne, quei bambini, quegli uomini, il loro paese per venire da noi in vacanza? Ognuno di quei 600 mila alle spalle ha carichi di dolore, e sofferenza. Fuggono da guerra, fame, malattia.
Fuggono come siamo fuggiti noi; forse abbiamo dimenticato da cosa sono fuggiti le nostre nonne e i nostri nonni, quando varcavano gli oceani per andare nelle ‘meriche, e dovevano patire gli egoismi e le arroganze di irlandesi e tedeschi, ex inglesi ed ex francesi, “dago”, “macaroni”, mafiosi.
Abbiamo smarrito il ricordo delle sofferenze patite in Australia e in Brasile, in Venezuela e negli Stati Uniti, in Germania, Belgio e Svizzera. Davvero davvero c’è solo da ridere, nel vedere “Pane e cioccolata” di Franco Brusati e Nino Manfredi, e quel cartello, che c’era: “Vietato l’ingresso ai cani e agli italiani”, anche nel “latino” Canton Ticino…
Un’offesa ai trentamila morti di Covid-19; e un’offesa ai 600mila migranti, quel titolo. E non mi sono neppure soffermato sul contenuto dell’articolo di Senaldi, l’incipit è sufficiente: “Tutto fa brodo…”.
No, cari Feltri e Senaldi: continuo a NON invocare provvedimenti e sanzioni di sorta, né per voi, né per altri. Giudichi il lettore. Ma il vostro brodo: è una immangiabile zuppa rancida. Punto.
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