Aboubakar Soumahoro ha postato un video che scuote, scalfisce l’indifferenza, costringe a vedere cosa c’è dietro il sacchetto di frutta del supermercato. E’ un sindacalista oggi. Si batte per i diritti dei braccianti, essendo stato uno “schiavo moderno” anche lui, perso e dimenticato nelle baraccopoli del sud popolate di uomini che sanno quante ore debbono lavorare e non sanno quando quell’inferno finirà. Non fa appello ai politici questa volta Aboubakar. No, si rivolge direttamente a noi, ai clienti dei supermercati e dell’immensa, ricca, filiera dell’agricoltura che parte da un prezzo alla raccolta di pochi centesimi per arrivare fino a 8 euro per lo stesso prodotto. Nel mezzo un sistema ricchissimo e spietato con regole proprie e intoccabili, come dimostra quanto sta succedendo nel dibattito sulla regolarizzazione di circa 200mila braccianti in tutta Italia. Tanti sono quelli che ci garantiscono frutta e verdura ogni giorno, pagati tre euro l’ora, costretti a vivere in favelas d’Europa. “Care consumatrici e cari consumatori, il vostro consumo consapevole e indignato è una delle nostre speranze. Insieme possiamo porre fine a tutto questo. Il Governo regolarizzi”. Sullo sfondo le immagini indicibili ma autentiche dello sfruttamento della manodopera straniera in agricoltura, reso possibile dal fatto che si tratta di lavoratori in nero e senza una posizione regolare in Italia, in Europa. Esseri umani, non semplici voucher come li si vorrebbe considerare, semplificando ogni cosa. Il decreto rilancio è l’occasione per sollevare il velo su un’ipocrisia profonda, ossia sulla tolleranza di 200mila posizioni irregolari, dove i penalizzati sono certamente i braccianti ma non solo loro. Tenere aperta una sacca così ampia di rapporti di lavoro irregolare equivale a un mancato gettito stratosferico per gli enti previdenziali, per l’Inail, per l’ispettorato, per il Fisco. La regolarizzazione a tempo, proposta da più parti è un modo per accontentare le imprese rimandando il problema. Questa vicenda inoltre dimostra ormai che i braccianti stranieri non possono essere sostituiti da lavoratori italiani, i quali, semplicemente, non vogliono accettare quelle condizioni di lavoro. I numeri infatti indicano un numero di disoccupati e percettori del reddito di cittadinanza ampiamente superiore a quello necessario per la raccolta di ortofrutta, persone che potrebbero sin da ora essere chiamate dalle aziende anche utilizzando i voucher. Eppure ciò non sta succedendo, poiché, in sostanza, il lavoro in agricoltura non lo si vuole pagare in chiaro e nemmeno le tasse ad esso legate. La “chiamata alle armi” dei consumatori può essere la chiave di volta. In pratica è un invito ad acquistare solo da filiere certificate quando queste diventeranno una realtà. Allo stesso modo in cui ci sono etichette che attestano la provenienza bio, ce ne potrebbero essere altre che certificano la provenienza etica, ossia da una filiera che rispetta il lavoro dell’uomo e le leggi fiscali.