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Braccianti nel ghetto, sfruttati per lavorare 12 ore al giorno: “Ecco perché saremo in sciopero”

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La storia di Mohammed, 22 anni del Mali, che il prossimo 21 maggio aderirà allo sciopero degli invisibili indetto dall’Usb, insieme ad altri braccianti della Piana di Gioia Tauro. “Un permesso di sei mesi non cambia nulla, lo sfruttamento rimane”

di Eleonora Camilli

ROMA – “Siamo stanchi di questa situazione. Giovedì non lavoreremo, saremo in sciopero per questo. Viviamo nel ghetto, per noi non cambia niente con un permesso di sei mesi”. Mohammed ha 22 anni, è originario del Mali e da 5 anni è in Italia. E’ uno dei braccianti della Piana di Gioia Tauro, che insieme ad altri lavoratori giovedì 21 maggio parteciperà allo “Sciopero degli invisibili” indetto dalle unità sindacali di base Usb e lanciato sui social da Aboubakar Soumahoro. “Non vanno regolarizzate le braccia, ma gli esseri umani”, ha spiegato il sindacalista.

A pensarla così è anche Mohammed, che raccoglie le arance nella piana per 30 euro al giorno a fronte di più di 12 ore di lavoro, dalle 7 di mattina alle 20 di sera. “Non abbiamo nulla – racconta a Redattore Sociale -. Tutti sanno di come viviamo qui, conoscono la nostra situazione eppure non fanno niente per cambiarla. Non è un con permesso a tempo che si risolve il problema per noi, lo sfruttamento rimane. Chiediamo di poter avere alloggi dignitosi e non continuare a vivere nel ghetto, chiediamo un salario adeguato. Per noi decide tutto il padrone, non abbiamo voce in capitolo. Anche quando ci fanno il contratto ci pagano molto meno del dovuto”.

Mohammed una volta arrivato in Italia aveva fatto domanda di protezione e ottenuto l’umanitaria. Con l’entrata in vigore del decreto Salvini ha provato a convertirla con un permesso di lavoro ma per ora la procedura è bloccata: ha presentato contratto di lavoro e buste paga ma ha poche giornate lavorate registrate. Ed è in un limbo. Nella sua stessa situazione si trovano moltissimi altri braccianti.

Ruggero Marra, referente dello sportello per i diritti di Usb e Nuvola rossa, intitolato alla memoria di Soumaila Sacko, il giovane del Mali ucciso a San Ferdinando, spiega che il provvedimento non convince per l’assenza di una visione complessiva sul tema. “Nasce allo scopo di recuperare braccia da dare al settore agricolo, perché si rischia di non riuscire a raccogliere i prodotto nei campi – afferma -.  Ma noi pensiamo che le  persone valgano più delle melanzane e delle zucchine. Ci sono migliaia di vite ai margini che nessuno ha voluto regolarizzare in questi anni. Sono migranti che in caso di contagio da coronavirus restano sconosciuti anche al servizio sanitario nazionale. Ci aspettavamo un provvedimento che rendesse giustizia a tante persone, mentre quello che esce fuori è una misura limitata ai braccianti, colf e badanti. E piena di paletti che tagliano fuori molti irregolari, per esempio quelli divenuti tali per effetto dei decreti sicurezza. Invece di cancellare quella legge, in discontinuità col governo precedente, hanno preferito mettere solo qualche toppa. La nostra giornata di mobilitazione nasce da questa riflessione”.

Marra spiega che tra i migranti che si presentano allo sportello nella Piana di Gioia Tauro tanti sono i delusi. “Speravano in un provvedimento che potesse dargli un po’ di respiro, con i paletti che hanno messo nel decreto in pochi potranno sperare nella regolarizzazione. L’altro problema  è il costo, ci aspettiamo una compravendita di contratti con i datori di lavoro che scaricheranno i costi sui lavoratori, come sempre avviene”. Anziché permessi di 6 mesi, secondo il referente Usb servirebbero dei permessi soggiorno per emergenza sanitaria slegati dal contratto di lavoro. “Questa non è né una regolarizzazione né una sanatoria. Dal 1 giugno aiuteremo le persone a fare domanda ma sono ancora tanti gli interrogativi, per esempio abbiamo il caso di una persona col decreto scaduto a settembre 2019, che per un mese non rientrerà nel provvedimento – spiega Marra -. Infine oltre il lavoro nero c’è moltissimo lavoro grigio, cioè di persone che hanno meno giornate registrate rispetto alle ore lavorate. Di questo nessuno si preoccupa. Si può essere sfruttati anche un regolare permesso di soggiorno”. Proprio come insegna la storia di Soumaila Sacko.

Da redattoresociale

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