A causa della pandemia, a Roma, come in tutta Italia, le scuole sono chiuse dallo scorso 4 marzo. In questi mesi, alcuni istituti hanno adottato (non senza difficoltà) diverse forme di didattica a distanza (DAD), mediante l’utilizzo di computer e smartphone. I problemi, nella capitale, non sono stati pochi, e vanno dalla scarsa confidenza di molti docenti con la tecnologia alle difficoltà oggettive di molte famiglie, particolarmente nelle zone più disagiate, dove in molte case esiste un solo computer o non ne esistono affatto, tanto che si calcola (probabilmente, per difetto) intorno al trenta per cento la quota di alunni esclusi dalla partecipazione alla DAD. In un simile contesto, è particolarmente grave la situazione vissuta dagli alunni disabili.
A Roma, quasi diecimila alunni con varie disabilità (anche di natura socioambientale) usufruiscono del servizio di inclusione scolastica che il Comune eroga attraverso operatrici ed operatori forniti da cooperative sociali, in un regime di appalti e convenzioni vigente da oltre venti anni, che ha soppiantato il servizio precedentemente curato da operatori alle dirette dipendenze dell’Amministrazione. L’esternalizzazione del servizio, voluta dall’allora Giunta Rutelli, ha provocato, negli anni, una quantità di criticità tali da indurre gli operatori, lo scorso anno, ad organizzarsi in un Comitato ed a promuovere una Deliberazione di Iniziativa Popolare finalizzata alla reinternalizzazione del servizio. In base allo statuto di Roma Capitale, per approdare al voto dell’Assemblea Capitolina, le Delibere di Iniziativa Popolare devono essere sottoscritte da almeno 5.000 cittadini romani e la delibera proposta dagli operatori di firme ne ha raccolta più di 12.000, consegnate al Comune nel giugno dello scorso anno. Da allora, si sono susseguiti incontri istituzionali, manifestazioni ed uno sciopero di lavoratrici e lavoratori, lo scorso 12 dicembre, a seguito del quale è stato avviato un tavolo tecnico con l’Amministrazione, i cui lavori sono stati bruscamente interrotti dall’esplosione della pandemia. La situazione attuale, dunque, da un lato vede lo stallo degli incontri per l’internalizzazione del servizio (vecchio cavallo di battaglia del Movimento 5 Stelle prima della conquista del Campidoglio) e, dall’altro, accanto al disagio delle famiglie, la condizione drammatica in cui sono precipitati gli operatori.
Poiché le condizioni degli appalti prevedono che il Comune retribuisca il servizio ad ore e, quindi, non paghi nulla quando le scuole, per un qualsivoglia motivo, siano chiuse, da oltre due mesi operatrici ed operatori non percepiscono alcun reddito. La cassa integrazione, richiesta dalle aziende, è ancora un miraggio, mentre molto concrete sono le scadenze quotidiane, come il pagamento di affitti, rate e bollette. In questo scenario oscuro, l’Amministrazione capitolina, impersonificata dall’Assessora Veronica Mammì, ha brillato solo per inerzia e incompetenza. Appena chiuse le scuole, in piena esplosione della pandemia e mentre da ogni parte si levava l’appello a restare a casa per contrastare la diffusione del contagio, l’Assessora Mammì emetteva una disposizione che trasformava l’assistenza educativa in assistenza domiciliare, attraverso l’invio degli operatori nelle case dei bambini da loro assistiti a scuola. A questa geniale pensata, è seguito inevitabilmente un putiferio di proteste da parte dei lavoratori, perché l’idea di mandare tremila persone in giro per Roma, perlopiù con i mezzi pubblici, e dentro le case di quasi diecimila famiglie, in un momento in cui i minimi dispositivi di sicurezza (come mascherine e guanti) erano introvabili, appariva semplicemente una follia. Fortunatamente, è sopraggiunto il decreto governativo dell’8 marzo, che ha imposto il lockdown, costringendo l’Assessora ad una precipitosa marcia indietro ed a sospendere il provvedimento. Nelle settimane successive, dall’Assessorato della signora Mammì non è giunto alcun segnale, nemmeno quando il Governo ha emanato il Decreto “Cura Italia”, che autorizzava i Comuni ad utilizzare i fondi già stanziati in bilancio per retribuire le prestazioni sociali che la pandemia aveva reso impossibile erogare come di consueto.
Soltanto all’inizio di aprile, ad un mese intero dalla chiusura delle scuole, dagli uffici dell’Assessora Mammì è stato partorito un atto dirigenziale che delegava ai singoli Municipi la promozione e l’organizzazione della DAD per i bambini disabili. Come era facilmente prevedibile, si è scatenato il caos, perché – in assenza di una chiara indicazione centrale – ognuno dei quindici Municipi romani ha interpretato l’atto a modo suo, in una situazione che ha visto anche moltissime scuole tutt’altro che collaborative. La conseguenza dello stato confusionale è stata che, agli inizi di maggio – e siamo a due mesi dalla chiusura delle scuole – la DAD per i bambini disabili era partita, più o meno efficacemente, solo in due o tre Municipi su quindici. L’otto maggio, colpo di scena: l’Assessora Mammì comunica di aver raggiunto con i sindacati confederali un accordo (di cui lavoratrici e lavoratori erano completamente all’oscuro) che ripropone l’assistenza a domicilio per i bambini disabili, specificando che sia gli operatori che le famiglie debbano esprimere la volontà di accettare questa soluzione e scaricandosi, così, di ogni responsabilità per le eventuali conseguenze.
Quando mancano solo quindici giorni di lezione al termine dell’anno scolastico, siamo tornati al punto di partenza, con gli operatori sul lastrico e indignati per una decisione presa senza nemmeno la cortesia di ascoltarli, i Municipi che continuano a procedere in ordine sparso e molte scuole che non mostrano la minima volontà di attivarsi. Insomma, un vero fallimento a 5 stelle.