I “pieni poteri” (do you remember?) attribuiti da un docile e soggiogato Parlamento al premier ungherese Viktor Orban sono un pugno nello stomaco. Anzi, ben di più: un omicidio della democrazia. Un delitto perfetto. Con un alibi prepotente: il contrasto del “Coronavirus”.
di Vincenzo Vita
A dire il vero, c’erano da tempo laggiù indizi e segni premonitori: da una legge elettorale ad uso e consumo del partito del capo, il Fidesz; all’abolizione della libertà di informazione; all’indebolimento dell’autonomia della magistratura; alla limitazione della facoltà di aborto; all’attacco al mondo del lavoro e alle etnie non magiare. Oltre alla repressione dei flussi migratori. Non dimenticare, come avverte sempre l’Anpi. I fascismi quasi sempre nascono nel consenso. Il tutto è condito da un nazionalismo sovranista condiviso dai partner del gruppo di Visegrad. La grande filosofa ungherese Agnes Heller (la sua “Teoria dei bisogni” fu un testo cult nei movimenti degli anni Settanta) ci ha spiegato la natura profonda (e storica) della parabola involutiva.
L’Ungheria non è l’unico dottor Stranamore. In Serbia è avvenuto qualcosa di simile; Erdogan è un caposcuola; la repressione egiziana è tristemente nota; i comportamenti di Netanyahu fanno parte del vertice dell’estrema destra mondiale, corroborata con l’apartheid (antipalestinese). Il presidente delle Filippine ha ordinato alla polizia di sparare su coloro che infrangono i divieti. In Brasile non si scherza.
La vicenda cinese meriterebbe un seminario a parte. E poi, il “putinismo”. In generale, la tendenza a rendere i partiti di massa meri strumenti del “Capo” ha aperto la strada alla volta di oggi.
È doveroso, dunque, mobilitarsi in forme straordinarie contro le svolte autoritarie (“democratura”?), che potrebbero ringalluzzire emuli desiderosi di avere via libera. In Italia, non a caso, Matteo Salvini e Giorgia Meloni hanno voluto sottolineare la “normalità” di quanto è successo. In fondo, quei “pieni poteri” sono il sogno negato del leader leghista fin dall’agosto scorso, quando a Pescara li evocò senza ritegno. E, si può aggiungere, senza neppure il senso del ridicolo.
Tuttavia, quella di Orban è solo una patologia pericolosa ed esecrabile o un caso pur estremo di una tendenza, di una fisiologia? Purtroppo, furono teorici della politica di peso come Colin Crouch e Pierre Rosanvallon a parlare diversi anni fa di “post-democrazia”. Vale a dire la categoria astratta e generale in cui inscrivere i processi di degenerazione, che non sono nati con l’epidemia del “Coronavirus”. Ben prima. Quest’ultima tragica vicenda diventa un comodo alibi, allora, per travolgere le istituzioni rappresentative, i luoghi del bilanciamento dei poteri.
Intendiamoci. La situazione è drammatica e richiede decisioni rapide e rigorose. E persino un’interpretazione un po’ elastica (del resto consentita eccezionalmente dallo stesso Regolamento europeo del 2016) della normativa sulla privacy. Per tracciare digitalmente i movimenti del virus: però, con criteri precisi e per un tempo definito.
Ma tutto questo non si deve mai e poi mai confondere con l’assuefazione o l’arrendevolezza. È una resistenza. Seria e impegnativa.
E l’Europa, in molti chiedono e si chiedono? Già. O da lì viene una risposta adeguata, che significa l’espulsione dalla Comunità di un paese diretto ormai in modo eversivo, o il continente che “inventò” la democrazia ne sancirà l’agonia.
Che la politica progressista risorga. Si esce dal virus (il dopo sarà un passaggio delicatissimo) con più, non meno democrazia. E linee assurde come la cosiddetta “autonomia differenziata” è augurabile che vadano in soffitta. Insieme alla (contro)riforma del Titolo V della Costituzione, su cui il centrosinistra dovrebbe chiedere scusa.