In piena pandemia da coronavirus, la Turchia continua con le detenzioni di giornalisti e con nuovi arresti. Si moltiplicano gli appelli delle organizzazioni di difesa dei diritti umani a rilasciare giornalisti e attivisti
Al momento della stesura di questo articolo, 102 giornalisti e operatori dei media rimangono dietro le sbarre in Turchia. Secondo la piattaforma Free Turkey Journalists, dal 2016 ad oggi questi giornalisti sono stati condannati ad un totale di 1.103 anni di reclusione. Oltre la metà di loro è incarcerata con l’accusa di terrorismo (“propaganda terroristica” o “appartenenza ad un’organizzazione terroristica”).
Secondo Bianet , nelle ultime settimane sono stati arrestati 64 utenti di social media per post a tema coronavirus. Le detenzioni continuano mentre il ministero degli Interni indaga sui post “infondati e provocatori” che, a detta dell’accusa, collegherebbero i loro autori all’Organizzazione terroristica di Fetullah (FETO).
Ora, alla luce della pandemia COVID19 e del sovraffollamento delle carceri turche, le autorità stanno considerando il rilascio anticipato in libertà vigilata per circa 100.000 su un totale di 300.000 detenuti. Le organizzazioni nazionali e internazionali per la libertà di stampa chiedono alle autorità di includere nel provvedimento tutti i giornalisti dietro le sbarre, ma il governo turco ascolterà?
Ha scatenato dibattito la nuova legge proposta dal Partito giustizia e sviluppo (AKP), resa pubblica il 24 marzo scorso. Secondo Hurriyet Daily News, il progetto di legge dovrebbe essere presentato al parlamento dopo che tutti i partiti (Partito del movimento nazionalista – MHP, Partito popolare della Repubblica-CHP e IYI, “Partito del Bene”) ne avranno discusso la bozza.
“L’accordo modifica i termini della condizionale: secondo la proposta saranno rilasciati i detenuti che hanno scontato la metà della propria pena. Il periodo di libertà vigilata sarà aumentato a tre anni […] L’accordo non includerà i detenuti per omicidio volontario e reati terroristici. Per questi casi non cambieranno i termini”.
Il fatto che la proposta di legge escluda i condannati per reati connessi al terrorismo rivela la mancanza di trasparenza nelle intenzioni delle autorità. Molti altri attivisti della società civile, tra cui avvocati, politici e difensori dei diritti, sono attualmente dietro le sbarre per simili accuse. Senza modifiche alla bozza attuale, secondo la piattaforma Expression Interrupted, molti di questi detenuti vedranno peggiorare i rischi per la propria salute a causa della pandemia.
Non va dimenticato che esiste spesso una “motivazione politica” delle “sentenze uniformi e di parte” emesse dalla magistratura in Turchia: una questione evidenziata nella relazione di febbraio 2020 del Commissario del Consiglio d’Europa per i diritti umani Dunja Mijatović.
La mancanza di capacità delle carceri turche e la loro incapacità di gestire la pandemia hanno scatenato una nuova campagna hashtag #GazetecilerDeEvdeKalsin (anche i giornalisti devono rimanere a casa), che tuttavia non ha impedito alle autorità di continuare prendere di mira questi ultimi: almeno sette sono stati arrestati o interrogati per le notizie riportate sulla pandemia di COVID19.
Sedici organizzazioni internazionali per i diritti umani e la libertà di stampa hanno esortato il governo turco a non discriminare i prigionieri politici in una dichiarazione rilasciata il 25 marzo: “Le sottoscritte organizzazioni chiedono al governo turco di evitare qualsiasi esclusione discriminatoria, rispettare i diritti umani fondamentali di tutti i prigionieri e garantire che vengano immediatamente prese tutte le misure necessarie per proteggerli da ogni tipo di danno, inclusa la pandemia di COVID19. I detenuti anziani, malati, disabili e con bambini dovrebbero essere immediatamente rilasciati dalle carceri”.
Il 23 marzo, Nacho Sanchez Amor, relatore del Parlamento europeo per la Turchia, ha invitato il governo turco a rilasciare giornalisti, avvocati, attivisti e difensori dei diritti umani attualmente in carcere.
Tuttavia, le organizzazioni locali continuano a contestare i tribunali nazionali. La Media and Law Studies Association (MLSA) ha presentato il 18 marzo richieste di rilascio per almeno cinque giornalisti e un attivista, attualmente dietro le sbarre, per l’epidemia di COVID19 e le “cattive condizioni igieniche nelle carceri”.
L’articolo 56 della costituzione turca garantisce il diritto ad un ambiente sano, mentre l’articolo 109 del codice di procedura penale obbliga lo stato ad adottare misure per prevenire potenziali danni ai detenuti.
Human Rights Watch ha chiesto al governo turco di tutelare dalla pandemia tutti i detenuti, senza distinzioni politiche: “Sebbene sia un passo positivo, è importante che possano trarne beneficio anche i detenuti che si trovano in carcere non per atti di violenza, ma per le loro opinioni politiche. Non dovrebbe esserci discriminazione sulla base dell’opinione politica”.
Nel frattempo, le autorità turche continuano a introdurre nuove misure per contenere COVID19
Secondo un sito web turco, che raccoglie i dati sulla situazione, in Turchia ci sono attualmente 9.217 pazienti infetti, 105 guariti e 131 decessi registrati. La Turchia ha riferito del suo primo paziente infetto il 12 marzo. Il 28 marzo, sono state adottate nuove misure che hanno sospeso tutti i voli internazionali. I trasferimenti nazionali sono ora soggetti all’autorizzazione delle autorità locali. Se c’è l’autorizzazione, i posti a sedere su tutti gli autobus interurbani devono essere ben distanziati. A Istanbul, Ankara e Izmir sono stati limitati anche i servizi di taxi.
A partire dal 16 marzo sono chiusi bar, ristoranti, caffetterie, sale per matrimoni, cinema e aree giochi al coperto per bambini. Il 28 marzo le autorità hanno chiuso parchi e aree picnic nella speranza di evitare un’ulteriore diffusione del virus.
Per contenere la diffusione del coronavirus nei luoghi di lavoro, il presidente turco ha imposto orari flessibili per i dipendenti sia pubblici che privati. Il governo ha inoltre introdotto un pacchetto di aiuti da 100 miliardi di lire turche (15,4 miliardi di dollari) che comprende riduzioni fiscali e differimenti di pagamento al fine di sostenere l’economia.