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Siria. Padre Spadaro: contagio Covid-19 alle porte, popolazione allo stremo

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Pubblichiamo il testo integrale di padre Antonio Spadaro sulla Siria, pubblicato il 2 aprile sul sito de La Civiltà Cattolica.

Il 22 marzo le autorità di Damasco hanno annunciato il primo caso di contagio – un cittadino proveniente dall’estero –, facendo seguire misure drastiche: chiusura delle scuole, università, moschee; riduzione dell’orario di lavoro e del personale nel settore pubblico; regole restrittive per i trasporti; sospensione del reclutamento per il servizio militare e anche il rinvio delle elezioni parlamentari dal 13 aprile al 20 maggio. Il quadro è allarmante. Per il rappresentante dell’Unicef in Siria, Fran Equiza, un’azione militare ha
messo fuori uso la stazione idrica di Allouk, nel nord-est curdo del Paese, con enormi conseguenze sanitarie. E la nuova amnistia siriana ridurrà il sovraffollamento carcerario? Quella dello scorso anno liberò 204 detenuti su 190.000.
Tra le misure annunciate da Damasco, hanno rilievo i corsi di addestramento alla sepoltura nel rispetto del rito islamico. In un Paese dove la guerra ha causato la morte violenta, in nove anni, di oltre 400.000 persone (il conteggio ufficiale delle vittime è fermo da molto tempo), i sistemi di sepoltura non possono essere poco conosciuti. Il timore che questa decisione possa, dunque, implicare una situazione che si prospetta allarmante non è infondato.
La possibile emergenza siriana, che avrebbe caratteristiche non dissimili da quella di altri Paesi sconvolti da lunghissimi conflitti, sarebbe di eccezionale gravità per un dato drammatico e noto: la distruzione di circa la metà delle strutture sanitarie e la mancanza di personale medico, avendo moltissimi medici lasciato il paese; e adesso essi sono impossibilitati a rientrare in patria. La
tardiva chiusura di importanti santuari, meta di pellegrinaggi anche dall’estero, potrebbe aver aggravato l’emergenza. Tutto questo crea allarme: non si può che essere angosciati provando a immaginare, ad esempio, cosa possa significare la diffusione del contagio nelle inaccessibili e sovraffollate carceri siria- ne. Se la Siria «fosse colpita dal virus sarebbe una catastrofe», ha dichiaro all’agenzia Sir il Nunzio apostolico,
Quando papa Francesco inviò il card. Turkson a Damasco con la sua lettera al presidente Bashar al- Assad, il Segretario di Stato Vaticano, card. Pietro Parolin, proprio al riguardo delle carceri disse, in un’intervista apparsa su L’Osservatore Romano: «A Papa Francesco sta particolarmente a cuore anche la situazione dei prigionieri politici, ai quali – egli afferma – non si possono negare condizioni di umanità. Nel marzo 2018 l’Independent International Commission of Inquiry on the Syrian Arab Republic ha pubblicato una relazione a questo proposito, parlando di decine di migliaia di persone detenute arbitrariamente. A volte in carceri non ufficiali e in luoghi sconosciuti, essi subirebbero diverse forme di tortura senza avere alcuna assistenza legale né contatto
con le loro famiglie. La relazione rileva che molti di essi purtroppo muoiono in carcere, mentre altri vengono sommariamente giustiziati».
Dai territori della Siria nord- orientale, non controllati da Damasco, le autorità curde hanno descritto così alla National Public Radio statunitense la situazione: «Non disponiamo di tamponi, i nostri confini sono tutti chiusi e al momento non sappiamo a chi poterci rivolgere». C’è poi il nord-ovest della Siria, la provincia di Idlib. La sua popolazione era di un milione e cinquecentomila persone, ma è raddoppiata negli anni recenti per l’afflusso in questo lembo settentrionale del Paese di sfollati da altre aree del Paese riconquistate dalle autorità di Damasco. Controllata da oppositori del governo e affollata anche da numerosi miliziani jihadisti arrivati dopo la conclusione dei combattimenti in altre zone della Siria, la provincia di Idlib è stata fino a pochi giorni fa al centro di feroci combattimenti e bombardamenti a tappeto che hanno colpito quasi tutte le strutture sanitarie.
L’intensità del fuoco è stata tale da causare almeno un milione di sfollati, molti dei quali lo sono anche tre o quattro volte. Alla loro tragedia papa Francesco si è riferito nella lettera al Presidente Assad, il 22 luglio 2019, nel corso dell’ Angelus del 2 settembre, al termine dell’incontro di Bari il 23 febbraio 2020 e infine all’ Angelus dell’8 marzo. In quest’ultima occasione ha rinnovato la sua grande apprensione e il suo «dolore per questa situazione disumana di queste persone inermi, tra cui tanti bambini, che stanno rischiando la vita». E ha proseguito: «Preghiamo per questa gente, questi fratelli e sorelle nostri, che soffrono tanto al nord-ovest della Siria, nella città di Idlib».
Il giorno dopo i vescovi cattolici e luterani dei Paesi scandinavi hanno firmato insieme una dichiarazione, nella quale la crisi legata al virus e quella del nord della Siria sono definite situazioni che «ci sfidano come persone e membri della razza umana. Gli oneri devono es- sere condivisi e sostenuti congiuntamente. Se falliamo, perdiamo la nostra umanità».
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La provincia di Idlib riceve aiuti umanitari internazionali dagli unici due corridoi aperti attraverso l’invalicabile confine turco. Hedinn Halldorsson, dell’Organizzazione Mondiale della Sanità (Oms), ha affermato che «è solo una questione di tempo prima che vedremo confermati casi di coronavirus in Siria, poiché abbiamo evidenze e conferme da tutti i Paesi e territori limitrofi».
L’Oms ha annunciato di essere pronta a inviare i tamponi per il test del Covid-19 non solo nelle aree governative, tramite Damasco, ma anche nel nord-ovest tramite la Turchia. La Russia ha inviato materiale sanitario. Poco dopo l’annuncio del primo caso di coronavirus, l’ambasciata della Repubblica popolare cinese di Damasco ha ufficializzato l’invio di un primo kit di aiuti a
favore delle autorità sanitarie siriane, e ha inviato nel Paese almeno 2.000 dispositivi per effettuare i test.
Ma le difese immunitarie di una popolazione che vive all’addiaccio da mesi, non disponendo neanche di tende sufficienti per tutti, nel fango e senza acqua corrente, spiegano perché da molte parti si sia affermato che il non disporre dell’acqua per lavare i bambini, neanche una volta a settimana, evidenzi il ritardo della comunità internazionale nell’assumere iniziative che dovevano essere prese settimane fa. Un ritardo che potrebbe avere gravissime conseguenze.
Il responsabile dell’Oms in Siria, Nima Saeed Abid, ha dichiarato all’Agenzia Reuters che «esiste una popolazione vulnerabile nei campi profughi, nelle periferie urbane, nelle baraccopoli. Se prendiamo in considerazione gli scenari cinese o iraniano ci aspettiamo di avere un gran numero di casi e ci stiamo preparando di conseguenza». Il tempo si è fatto breve.


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