(R)aggirare la morte. ‘Altered Carbon’

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“Il pericolo di vivere troppe volte è dimenticare di temere la morte. Abbiamo ridimensionato il tristo mietitore a una pittoresca metafora. Ma temere la morte non è che un bene.”

Queste le parole del misterioso ed impenetrabile protagonista di Altered Carbon, Takeshi Kovacs, serie tv Netflix, che lo scorso 27 febbraio ha reso disponibile la seconda stagione. Tratta dalla trilogia di romanzi di Richard K. Morgan, la serie rappresenta un futuro distopico e perturbante, moralmente ambiguo in cui non vi sono limiti all’esistenza dell’uomo. Chiaramente ispirato a capolavori come Blade Runner Matrix, presenta un intreccio avvincente che fonde l’ambientazione cyberpunk, tipica degli scenari sci-fi, con la vena noir. Nell’orizzonte del 24° secolo, l’umanità ha sconfitto la morte grazie a identità digitali, I.D.U. (Immagazzinamento Digitale Umano), caricate su supporti chiamati “pile corticali” inserite chirurgicamente nella colonna vertebrale: la morte fisica riguarda solo il corpo, o meglio la “custodia” che può essere cambiata con un’altra sintetica, naturale o clonata. Solo distruggendo la Pila si va incontro alla “vera morte”. Non sorprende dunque che nella nuova stagione il protagonista abbia “cambiato pelle”: l’affascinante svedese Joel Kinnaman che aveva brillantemente interpretato il ruolo di protagonista nella prima stagione, viene sostituito da Anthony Mackie, già conosciuto nei panni di Falcon nella saga Marvel degli Avengers.

Questo non è il solo cambiamento della seconda stagione che ci aveva tenuto in sospeso per due anni ma che non ha soddisfatto appieno le aspettative. Una delle poche costanti è l’ambientazione, Harlan’s World, la prima colonia fondata dall’umanità, mondo occupato abusivamente dai Fondatori. Sebbene la scenografia rimanga la stessa, curata nei dettagli e molto sofisticata e d’impatto, l’atmosfera risulta diversa: la nuova showrunner Alison Schapker decide di sfumare i toni cupi e abbandonare la crime story per concentrarsi sull’azione aumentando le sequenze dinamiche e adrenaliniche con combattimenti e inseguimenti ottimamente costruiti. Se l’interpretazione di Kinnaman fondeva il fattore emotivo al carattere deciso e risoluto del personaggio, Mackie non raggiunge la profondità del predecessore dovendosi impegnare piuttosto sul piano fisico, sulla componente action, mostrandosi un guerriero disciplinato ed esperto anche grazie alla sua nuova custodia, uno degli ultimi modelli usato in ambito  militare: la scrittura stessa del personaggio rinuncia all’analisi psicologica e circoscrive la componente emotiva alle sfumature romantiche e alla complicata love story che lascia un margine per riconoscere il Kovacs della prima stagione.

Anche il cast è completamente rinnovato: gli aiutanti di Kovacs della prima stagione non sono che un ricordo lontano, un capitolo che non viene riaperto dagli sceneggiatori che preferiscono spostare l’attenzione su nuove personalità. A tal proposito a dominare la scena sono soprattutto figure femminili con acuta profondità psicologica come Quellcrist Falconer, interpretata da Renée Elise Goldsberry, donna amata da Kovacs, creatrice delle Pile e a capo della Rivolta contro i Mat, ricchi e potenti che abusano dei loro privilegi grazie alla sicurezza dell’immortalità o Trepp, Simone Missick, cacciatrice di taglie che accetta di aiutare Kovacs, anche a caro prezzo. Unico fedele compagno, sin dall’inizio, resta l’I.A. (Intelligenza Artificiale) Poe, ispirato all’omonimo autore Edgar Allan Poe, direttore dell’hotel “Never more” che ospita il protagonista. Dal portamento singolare, ironico e malinconico, Poe smorza i toni cupi ritagliandosi spazi da dedicare ad una linea narrativa aperta all’introspezione emotiva e filosofica. La serie, infatti, presenta anche un’anima riflessiva, tipica del cyberpunk, talvolta anche poetica, volta a indagare il valore dell’essere umani e il modo in cui il passato e la memoria aiutino a definire chi siamo. Vengono ripresi e sviluppati concetti presenti nella prima stagione come l’immortalità, le diseguaglianze sociali e i rapporti con la corporalità lasciando allo spettatore il compito di rispondere.

Paradossalmente, come spesso accade, è proprio il partner olografico a rispondere implicitamente ai quesiti, mostrandosi più umano degli altri. A causa di un danneggiamento al sistema operativo, l’I.A. è costretto a riavviarsi con la probabilità di perdere ogni backup e dunque ogni ricordo immagazzinato. Tale prospettiva lo porta ad affrontare numerose questioni esistenziali per cui sarebbe disposto anche a deteriorarsi se non fosse che le persone a lui care hanno bisogno di lui. Tutti i personaggi della serie, come Poe, sono posti davanti ad un bivio e la frammentazione dell’io li porta a compiere scelte difficili, a fronteggiare i propri demoni ed oscillare tra la necessità e la volontà. L’obiettivo finale è recuperare l’umanità che si è persa togliendo la morte dall’equazione della vita. Qual è il vero prezzo dell’immortalità? La dilatazione infinita del tempo a disposizione non fa che annullare l’identità di ciascuno per cui si perde ogni percezione e rapporto con la materialità: la violenza, declinata in ogni suo aspetto, è legittimata, quasi giustificata in quanto il corpo non è che un guscio, facilmente sostituibile. Inoltre, sebbene il sistema delle Pile sia garanzia di immortalità, i nostri protagonisti sembrano in continua lotta contro il tempo tanto che proprio Poe fa comprendere come questo, sia esso limitato o infinito, scandisce non tanto lo scorrere della vita quanto il modo in cui la si vive. Sono numerose le chiavi di lettura della serie che offrono molteplici spunti, dal sogno dell’immortalità, all’inquinata e corrotta società distopico-futuristica, e che ci portano a riflettere su quanto si debba sacrificare per l’illusione di una vita senza limiti.


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