Di Beppe Pisa
Naturalmente il primo pensiero è per “i malati, coloro che sono morti e i familiari che piangono per la scomparsa dei loro cari, ai quali a volte non sono riusciti a dare neanche l’estremo saluto”, come anche “gli anziani e le persone sole”. Francesco è vicino “a chi si trova in condizioni di particolare vulnerabilità, come chi lavora nelle case di cura, o vive nelle caserme e nelle carceri”. Segue l’altrettanto naturale ringraziamento ai santi della porta accanto: “ai medici e agli infermieri, alle forze dell’ordine e ai militari che in molti Paesi hanno contribuito ad alleviare le difficoltà e le sofferenze della popolazione”. Segue quindi un auspicio che è propedeutico a quello che aggiungerà tra un attimo: l’invito ai politici ad essere all’altezza della situazione. Si preparano tempi duri in cui la gente sarà senza lavoro, dispossessata di quello che aveva e non solo degli affetti. “Incoraggio quanti hanno responsabilità politiche ad adoperarsi attivamente in favore del bene comune dei cittadini, fornendo i mezzi e gli strumenti necessari per consentire a tutti di condurre una vita dignitosa e favorire, quando le circostanze lo permetteranno, la ripresa delle consuete attività quotidiane” dice Francesco.
Tono morbido, parole chiare: questo non è “il tempo dell’indifferenza, perché tutto il mondo sta soffrendo e deve ritrovarsi unito nell’affrontare la pandemia”. Allora si tolgano le sanzioni a chi deve lottare su più fronti (il riferimento è apertamente all’Iran, da dove alcuni ayatollah hanno chiesto apertamente la mediazione vaticana per risolvere la faccenda), si operi per la pace in tutto il Medio Oriente, a cominciare dalla soluzione del conflitto arabo-israeliano. Si agisca in Yemen, in Siria, in Libano, Mozambico. Si sostenga il popolo del Venezuela. Ma soprattutto questa Europa, che mostra tutti i limiti di un passato recente dominato dalle ideologie neoliberiste, ritrovi lo spirito della sua cultura bimillenaria e ricordi che, prima dei bilanci usati come scusa, vengono le speranze, gli entusiasmi, la solidarietà, l’uguaglianza e la fraternità. La filosofia. La vita. La politica, massima espressione della cultura europea. E quella scienza che spesso ha perso di vista la sua responsabilità verso l’umanità. “Non è questo il tempo degli egoismi, perché la sfida che stiamo affrontando ci accomuna tutti e non fa differenza di persone”, è il preambolo del ragionamento. “Tra le tante aree del mondo colpite dal coronavirus, rivolgo uno speciale pensiero all’Europa”, aggiunge Francesco immediatamente dopo, a scanso di equivoci.
“Dopo la Seconda Guerra Mondiale, questo amato continente è potuto risorgere grazie a un concreto spirito di solidarietà che gli ha consentito di superare le rivalità del passato. E’ quanto mai urgente, soprattutto nelle circostanze odierne, che tali rivalità non riprendano vigore, ma che tutti si riconoscano parte di un’unica famiglia e si sostengano a vicenda”, sono le parole del papa. “Oggi l’Unione Europea ha di fronte a sé una sfida epocale, dalla quale dipenderà non solo il suo futuro, ma quello del mondo intero”. Così dicendo, Bergoglio torna ad assegnare al Continente un ruolo centrale che aveva perso con la Guerra Fredda: Europa esempio del mondo, reggitrice dei suoi stessi popoli e modello per gli altri. Una centralità che lo scorso gennaio era stata sottolineata dal segretario vaticano per i rapporti con gli Stati, monsignor Paul Gallagher, in una visita al Consiglio d’Europa. A maggior ragione, insiste oggi il papa, “non si perda l’occasione di dare ulteriore prova di solidarietà, anche ricorrendo a soluzioni innovative. L’alternativa è solo l’egoismo degli interessi particolari e la tentazione di un ritorno al passato, con il rischio di mettere a dura prova la convivenza pacifica e lo sviluppo delle prossime generazioni”. Si rischia l’addio alla convivenza, e questo in Europa vuol dire una cosa sola. Chi non vuole tornare al ’44 pensi alla ex Jugoslavia. Non è il momento delle divisioni, degli egoismi, insiste Bergoglio: “indifferenza, egoismo, divisione, dimenticanza non sono davvero le parole che vogliamo sentire in questo tempo. Esse sembrano prevalere quando in noi vincono la paura e la morte”. L’apocalisse non si rivela per forza con un rombar di tuoni.