Lo scorso agosto un uomo politico, in auge allora come adesso, chiese agli italiani “pieni poteri” ma aveva appena fatto cadere il governo al quale partecipava convinto che sarebbe stato sciolto il Parlamento e che si sarebbe andati al voto dove avrebbe mietuto consensi a iosa. Si era sbagliato. Il Parlamento non è stato sciolto e gli onorevoli di allora siedono sempre al loro posto sostenendo tutt’altra maggioranza rispetto a quella che l’invocatore dei pieni poteri avrebbe voluto insediare.
Quello stesso uomo politico, in questi giorni di quarantena da Covid-19, ha espresso il desiderio che almeno a Pasqua le chiese siano aperte. Si è però dimenticato che, nel popolo d’Israele, gli ebrei ortodossi sono i più colpiti dalla pandemia e, allo stesso modo, in India e nell’Islam i frequentatori delle manifestazioni di culto hanno le percentuali più alte di contagiati. Un altro errore.
Qui non interessa il nome del politico italiano che così di frequente sbaglia, quanto affermare che colui che invoca i pieni poteri non per questo è esente da errori. La storia insegna che chi ha chiesto e ottenuto i pieni poteri, come Mussolini in Italia o Hitler in Germania, sbagliando un pronostico, ha procurato immensi danni e se ne assume l’intera responsabilità non potendola condividere neppure con consiglieri o consulenti perché costoro, quandanche nominati, non sono che meri ripetitori della volontà originaria del capo il quale, altrimenti, i pieni poteri non avrebbe.
L’unico metodo che attenua il rischio dell’errore fatale è la condivisione delle idee e delle iniziative che si fonda sulla libertà di espressione senza limiti e senza regole che non siano quelle della tolleranza e della pacatezza della critica. Anche l’idea più insulsa e meno contestualizzata sul tema posto in discussione costituisce pur sempre un apporto, un segno di partecipazione da cui può scaturire, talvolta, l’idea giusta. Anche gli orologi rotti, due volte al giorno, segnano l’ora esatta.
Quante volte, cercando la soluzione a un problema, si è causalmente trovata la soluzione ad un altro problema che non era minimamente al centro dell’attenzione. Röntgen (1885) scoprì i Raggi X per caso, mentre studiava l’elettricità e Fleming (1929) scoprì per caso che le sue colture batteriche di stafilococchi erano state distrutte da colonie fungine dando vita agli antibiotici. Così, anche l’idea che inizialmente appare bizzarra e inconferente può innestare il meccanismo deduttivo per trovare la soluzione. Si tratta, del resto, del metodo del brainstorming, dove tutti sono abilitati ad esprimere l’approccio più inusuale al tema proposto, senza timori di critiche e senza autocensure.
È in questa libertà di espressione nel dialogo, nella discussione, nella parlamentarizzazione del dibattito che gli aspetti negativi e positivi di ogni questione possono essere raffrontati, soppesati e compromessi nella sintesi della scelta finale che spesso si rivelerà la migliore perché condivisa e sostenuta dalla maggioranza dei favorevoli dopo il dibattito con la minoranza. In un simile metodo è evidente che il rischio della scelta errata si assottiglia, ma non può annullarsi. Quando i troiani, convinti dall’infido Sinone, aprirono una breccia nelle loro mura per fare entrare in città il famoso enorme cavallo che conteneva i soldati achei, Laocoonte e la profetessa Cassandra consigliarono di non farlo, ma il loro avvertimento fu vano. Nondimeno possiamo apprezzare che la voce contraria alla scelta finale vi fu, sicché il metodo del confronto nella libertà di espressione torna a confermarsi il migliore.
Invece, nei ristretti limiti dell’individuo, per quanto leader, gli errori possono attecchire con grande facilità. Prendendo in considerazione il solo periodo tra il 1940 e il 1941:
– Hitler ignorò il divieto bismarckiano di combattere una guerra su due fronti, convinto che una vittoria rapida sull’Armata Rossa avrebbe fatto capitolare la Gran Bretagna e impedito a Roosevelt, alle prese con un Congresso isolazionista, di entrare in guerra.
– La decisione di Mussolini di attaccare la Grecia senza avvertire Hitler, diede luogo ad un’invasione senza chance di successo e fece infuriare il Führer, perché lo costrinse a ritardare l’attacco a Mosca per inviare agli italiani soccorsi tedeschi in Grecia.
– Il Giappone, frustrato dall’aiuto americano a Chiang Kai-Shek in Cina e dall’embargo petrolifero americano, decise di attaccare gli americani a Pearl Harbour, pur consapevole di avere poche chance di vittoria.
– Quattro giorni dopo l’attacco a Pearl Harbour, Hitler dichiarò guerra agli Stati Uniti: la decisione più sconcertante di tutta la guerra, considerata dagli storici al limite della follia.
Ecco dimostrato, in poche righe dedicate ad un assai ristretto periodo temporale, come le decisioni di pochi leader – tutti politicamente lontani dal dibattito democratico – abbia inferto all’umanità una delle più dolorose esperienze della sua storia come fu quella della Seconda Guerra Mondiale.
Oggi l’Ungheria di Orban ripercorre gli stessi errori di ottant’anni fa. Annullando le voci contrarie, abolendo la stampa d’opposizione, frustrando i contrappesi degli organi istituzionali, Orban si avvia risolutamente sul sentiero dell’autoritarismo. Un sentiero che, dopo il medio evo, è sempre stato di corta gittata ma, pur nel breve percorso, ha sempre portato conseguenze devastanti. Erdogan, in Turchia, non è da meno.
La Storia insegna che la scelta della libertà di espressione non è quindi un’opzione, ma la migliore garanzia per evitare errori. Peraltro – lo si potrebbe ricordare ogni tanto a questi aspiranti dittatori – a tutto vantaggio del ricordo dei posteri.