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Mia Martini: il dolore e il trionfo

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Di Mia Martini, morta venticinque anni fa in circostanze non ancora chiarite, conserviamo due immagini. La prima è quella del trionfo, a Sanremo nell’89, con “Almeno tu nell’universo”. La seconda, che purtroppo l’ha accompagnata per metà della vita, è quella della paura, della rabbia, del tormento, del disprezzo sottile che la circondava pressoché ovunque: quell’indegna accusa di portare sfortuna che la perseguitava senza requie, ricordando a tutti noi quanto le parole siano in grado di ferire, di uccidere, di distruggere una persona nell’anima prim’ancora che materialmente.
Mia Martini non si è suicidata: è stata, di fatto, uccisa, travolta dalla violenza, dall’odio sottile dei denigratori, dalla falsità di quanti hanno pensato bene di annientarla in modo ipocrita, ferendola fino a farla quasi impazzire.
Mimi se n’è andata, a soli quarantasette anni, perché non ne poteva più dei pregiudizi, di certi sguardi maligni, della cattiveria gratuita di persone  misere che non facevano altro che pugnalarla alle spalle.
Mia se n’è andata perché era troppo sensibile, troppo fragile, troppo pulita, troppo bella dentro per sopportare la cappa di ipocrisia che la circondava in ogni istante.
Una volta dichiarò in un’intervista: “Dopo l’uscita del mio disco dovevo partecipare a Saint Vincent, ma Gianni Ravera non mi ha voluto. Dovevo realizzare uno special televisivo che la RAI mi aveva assegnato, ma il funzionario addetto al programma alla fine me lo ha negato. Un programmatore radiofonico e televisivo, che sta curando la realizzazione di un programma estivo per la Rete, ha detto chiaramente ai miei discografici che è molto meglio che io stia alla larga dalla sua troupe, perché porto jella. Tante grazie per questo contributo all’intelligenza. Ma ti sembra giustizia? Ormai ho smesso anche di odiarli e di soffocare la mia rabbia e di disperarmi”. 
E ancora, a proposito del suo momentaneo ritiro dalle scene: “La mia vita era diventata impossibile. Qualsiasi cosa facessi era destinata a non avere alcun riscontro e tutte le porte mi si chiudevano in faccia. C’era gente che aveva paura di me, che per esempio rifiutava di partecipare a manifestazioni nelle quali avrei dovuto esserci anch’io. Mi ricordo che un manager mi scongiurò di non partecipare a un festival, perché con me nessuna casa discografica avrebbe mandato i propri artisti. Eravamo ormai arrivati all’assurdo, per cui decisi di ritirarmi”. 
Mia Martini era una farfalla in un ambiente, quello dello spettacolo, talvolta dominato da elefanti. Una farfalla con le ali spezzate, ormai incapace di volare, di librarsi al di sopra delle meschinità di piccoli uomini ignoranti.
Venticinque anni, mille interrogativi e un dolore mai sopito che ci accompagnerà per sempre.

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