La prima è che, rivolgendosi al presidente Conte, confonde l’interlocuzione politica con il Governo, per cancellare dall’Ordinamento il carcere per i giornalisti, con il ricorso alla Corte Costituzionale. Le due cose non possono essere messe insieme, visto che la separazione dei poteri è un fondamento dello Stato. E la funzione della Corte è quella di risolvere le controversie in essere «relative alla legittimità costituzionale delle leggi e degli atti aventi forza di legge dello Stato e delle Regioni».
È quindi la Corte Costituzionale, quale giudice delle leggi, e non certo la Presidenza del Consiglio dei Ministri, in questa fase, l’interlocutore deputato a risolvere questa controversia.
Secondo, sempre chiedendo a Conte se condivide il carcere per i giornalisti dimostra di non conoscere le carte. L’intervento dell’Avvocatura dello Stato, in rappresentanza della Presidenza del Consiglio dei Ministri, non è stato affatto incentrato sul merito della questione, ossia la legittimità costituzionale della pena detentiva, bensì su questioni tecniche relative alla ammissibilità dell’ordinanza di rimessione alla Corte Costituzionale. Né pare accettabile, per il rispetto che è dovuto alla Corte Costituzionale e alla sua indipendenza dalla politica, l’aver paventato che la prospettazione della possibilità di adottare il rito camerale avrebbe in qualche modo compresso il diritto di difesa su una questione così importante. Il rispetto del principio del contraddittorio, infatti, nell’ambito della procedura camerale è, non di meno, assicurato a ciascuna delle parti attraverso la possibilità di presentare puntualmente per iscritto, invece che oralmente, le proprie difese.
Noi abbiamo affrontato il problema su più piani, con atti concreti e in maniera determinata.
Se esiste, infatti, questo procedimento presso la Corte Costituzionale è perché il Sindacato unitario giornalisti della Campania, con il suo avvocato Giancarlo Visone, per primo ha sollevato l’eccezione di incostituzionalità presso il Tribunale di Salerno, nell’ambito di un processo penale che vede imputati il collega Pasquale Napolitano ed il direttore del “Roma” Antonio Sasso. E in questo processo il SUGC, in piena sintonia con la Fnsi, è parte in causa nella difesa dei colleghi.
Ancora. Le memorie, con le quali il contraddittorio è già perfezionato, sono state depositate mesi prima dell’intervento dell’Ordine dei Giornalisti e la questione è stata ampiamente sviscerata.
Nel merito della questione, infine, si tenga conto che, come chiarito più volte dalla Corte EDU, già solo la semplice previsione astratta della sanzione detentiva esercita un effetto dissuasivo sull’esercizio dell’attività giornalistica e pertanto rappresenta una lesione per la libertà di stampa. È proprio per la consapevolezza dell’esistenza di questa spada di Damocle che pende ogni giorno sulle teste di tutti gli appartenenti alla categoria dei giornalisti, che il rivendicare come una vittoria la scelta di far slittare a data incerta la risoluzione di una questione tanto rilevante appare incomprensibile.
Purtroppo, pare che l’unica preoccupazione del presidente del Cnog non sia quella di ottenere una pronuncia in tempi brevi su una questione che si trascina da decenni, e che sta a cuore a tutta la categoria, ma soltanto quella di ritagliarsi qualche attimo di visibilità e di attribuirsi meriti che non ha.