Il pane dell’informazione proprio come il pane che portiamo sulle nostre tavole non può mancare, neppure in tempo di quarantene. È anzi indispensabile soprattutto in una stagione come quella che stiamo attraversando: tempo di lotta comune contro un virus subdolo e mortalmente pericoloso per i più deboli, che ha scatenato Covid-19, una pandemia di cui abbiamo detto e scritto già molto e molto dobbiamo ancora capire. Queste settimane segnate anche da una straordinaria limitazione di attività economiche e culturali e di libertà personali, civili e religiose che rappresentano la pacifica normalità in un grande, avanzato e democratico Paese come il nostro.
Se questo è vero, e se è vero che proprio per questo anche il pane dell’informazione non può mancare a nessuno, noi di “Avvenire” abbiamo deciso di fare a nostra volta «un passo in più». Come tutta l’Italia, come tutti gli italiani. E di farlo con la scelta per noi più semplice e onerosa, aprendo cioè la nostra informazione e raggiungendo in modo sicuro e gratuito, in quelle case dove siamo invitati a “stare” il più possibile, tutti coloro che vorranno leggere il quotidiano che realizziamo nella sua forma digitale. È una mano tesa in amicizia e in spirito comunitario e di concittadinanza, in maniera virtuale ma anche molto concreta e – lo ripeto – assolutamente gratuita.
Siamo un giornale d’informazione e di idee, cristianamente ispirato e a statuto non profit, che in questi anni – grazie alla fiducia dei nostri lettori (tanti così fedeli da farsi abbonati), dell’Editore (una Fondazione che fa capo alla Conferenza episcopale italiana) e alle legge che tutela il pluralismo nel sistema informativo italiano – è diventato stabilmente uno dei cinque maggiori quotidiani nazionali. Sperimentiamo ovviamente le serie difficoltà del settore editoriale di cui siamo parte integrante, e stiamo subendo – come tutti – il durissimo contraccolpo della crisi da coronavirus, ma intendiamo fare fino in fondo il nostro mestiere e il nostro dovere al servizio della comunità nazionale, quella comunità alla quale un grande e santo Papa, Paolo VI, mezzo secolo fa ci ha invitato a offrire la nostra informazione dall’Italia e dal mondo per «fare del bene» e non solo per «farsi dei clienti». Anche in questa scelta la Redazione e il Management aziendale sono accompagnati non solo dal consenso, ma dallo sprone dell’Editore, la Chiesa italiana. Ne siamo grati, e orgogliosi.
Sarà così sino alla fine della fase di gravissima emergenza sanitaria che stiamo affrontando e che ha chiamato l’Italia intera a una prova di unità e di responsabilità senza precedenti nella nostra esperienza di “moderni”. Noi siamo dal primo momento, senza sottovalutazioni e senza allarmismi, accanto a tutti coloro che sono generosamente in prima linea, ma anche ai tanti delle cosiddette retrovie, decisive per la qualità della nostra vita e per la stessa pace sociale in una passaggio xosì duro e sconvolgente. L’informazione è qui e lì, a illuminare ospedali e città, i palazzi del potere e i campi che ci danno da vivere. Ed è nelle case di tutti. L’immane crisi generata dall’emergenza sanitaria ci sta imponendo di cambiare il nostro modo di fare giornali (qualunque sia il vecchio o nuovo mezzo usato), e ha accelerato i promettenti e rischiosi processi di digitalizzazione già in atto da tempo. Proprio per questo appare sempre più chiaro che cosa non deve cambiare per noi giornalisti: la scelta prioritaria di attenzione e di verità per le vittime e accanto alle vittime per i senza voce, i senza potere e i senza cura. Tutti e tutte siamo vulnerabili e minacciati, ma alcuni e alcune di più.
Accanto al pane, dunque, oggi più che mai servono mani pulite e occhi limpidi. Per spezzare il pane e per farne parti giuste.