Nella notte del 15 aprile, grazie alla legge che in Turchia riforma l’esecuzione penale è stato rilasciato un membro della criminalità turca Alaattin Çakıcı, la mattina seguente ne ho dato notizia sui miei account Twitter e Facebook con il seguente post:
”Turchia: questa notte, grazie alla legge sull’esecuzione penale è stato rilasciato un membro della criminalità Alaattin Çakıcı, appartenente ai Lupi Grigi. La legge concede la riduzione di pena per 90 mila prigionieri, ma non per giornalisti, politici di opposizione e attivisti per i diritti umani @RadioRadicale”.
È bastato questo post per vedermi espulso dalla Community di Facebook. Disabilitato, sparito!
Ho provato a contattare i responsabili del portale senza riuscirci, ho dunque inviato una mail di richiesta di chiarimento alla sede di Palo Alto, ma ad oggi non ho ricevuto alcuna risposta.
Lo hanno chiuso, dopo che io avevo postato la notizia della liberazione di Alaatin Çakıcı, noto boss della mafia turca, pluriomicida, appartenente al movimento panturanico dei Lupi Grigi e al Partito del movimento nazionalista MHP, prezioso alleato di Erdoğan.
Intendo andare in fondo in questa grave vicenda per chiedere che il mio diritto umano alla libertà di espressione e al libero esercizio dell’attività giornalistica venga tutelato e garantito e nel mio caso ripristinato, così come recita la nostra carta costituzionale.
Continuerò a chiedere quindi a Facebook, fino a quando non avrò risposta, quale sia il motivo della disattivazione del mio account.
Non voglio che cada il silenzio sul comportamento inspiegabile e scandaloso di Facebook che decide arbitrariamente chi può esprimere le proprie opinioni e chi no.
Lo ritengo questo un dovere non per la mia vicenda personale, ma soprattutto per tutti quegli operatori dell’informazione e per i giornalisti che lavorano tra mille difficoltà ovunque nel mondo e che sono intimiditi, ricattati e soggetti ad ogni violenza.
Facebook pur essendo un Community privata non può comportarsi come un ‘’grande fratello’’ che persegue i suoi legittimi interessi economici violando le convenzioni internazionali sui diritti umani e i principi fondamentali che solo alla base di ogni convivenza civile.
Considero la raccolta rigorosa di informazioni e il racconto meticoloso di ciò che accade come il fondamento stesso della professione di giornalista.
Dunque non smetterò di denunciare massacri di vite umane, di democrazia, di stato di diritto ovunque si verifichino.
E non posso fare a meno di pensare a tutti coloro che subiscono la censura di governi autocratici e di dittature purtroppo ancora esistenti in buona parte del pianeta; luoghi dove si praticano censura e repressione sistematicamente nei confronti di voci critiche e di oppositori.
Penso alle condizioni sempre più drammatiche in cui vive la società civile turca
che è sotto assedio da tempo con arresti e intimidazioni che stanno minando la risorsa democratica più preziosa della Turchia, la sua società civile, appunto, che si è sviluppata e radicata fin dagli anni Ottanta e che è senza dubbio una delle più attive e combattive d’Europa con il lavoro prezioso che svolge in ogni ambito.
Penso a Osman Kavala, filantropo e presidente di Anadolu Kültür, esponente di spicco della società civile turca e dei diritti umani, ristretto dal 30 ottobre 2017 nel carcere di massima sicurezza di Silivri da quasi mille giorni con l’accusa surreale di aver tentato di “sovvertire l’ordine costituzionale e di aver tentato di rovesciare il governo di Erdoğan” attraverso le proteste antigovernative di Gezi Park di İstanbul della primavera del 2013.
Penso alla sua detenzione in questo periodo terribile per la diffusione della pandemia anche nelle carceri turche.
Osman Kavala ha criticato la politica di Erdoğan, è vicino agli oppositori del presidente e dunque è considerato un terrorista e non potrà beneficiare di alcuno sconto di pena.
È proprio Erdoğan che ha deciso che deve restare in prigione e nessuna legge potrà prevedere la sua liberazione. Nessun giudice, nessuna commissione potrà offrirgli benefici.
‘’Osman Kavala è in galera per volere di Erdoğan’’, sostengono i suoi avvocati. ‘’Un giudice lo aveva assolto, aveva cercato di liberarlo, ma Erdoğan si è messo la toga, è intervenuto e lo ha rimesso in prigione’’.
Chi è contro Erdoğan non può essere in libertà.
Penso ai tanti giornalisti perseguitati come Ahmet Altan, Barış Terkoğlu e Barış Pehlivan che resteranno in carcere, il primo ha davanti una condanna all’ergastolo e gli ultimi due si sono visti respingere proprio in questi giorni l’istanza di scarcerazione presentata dai loro avvocati e su di loro il Pubblico ministero ha formulato due capi d’accusi per reati per i quali è prevista una pena dai 7 ai 18 anni.