Per chi ha letto i Promessi Sposi (ignoro se facciano ancora parte dei testi assegnati al programma di studio delle medie superiori) i personaggi del capolavoro manzoniano sono simili a quelli che accompagnano il nostro attuale incubo quotidiano: la convivenza con l’epidemia virale. Don Ferrante ad esempio, che fino all’ultimo nega la peste snobbando le precauzioni, per poi ovviamente morirne “prendendosela con le stelle”.
Uomo colto e nobile d’animo – prende Lucia sotto la sua protezione, scrivendo al cardinale per aiutare la ragazza a sfilarsi dalle grinfie di Don Rodrigo – ma, come molti intellettuali, pecca di presunzione e viene punito senza pietà. Ricorda un po’ i nostri illustri opinionisti e politici (molto meno nobili in realtà) che fino a meno di un mese fa, negavano la pandemia, minimizzandone le conseguenze – vedi la gripezinha di Jair Bolsonaro e l’immunità di gregge di Boris Johnson – circoscrivendo la letalità del virus a ultraottantenni o a immunodepressi, cioè nel loro immaginario umani non più necessari, per poi ricredersi, spesso a loro spese, una volta che tocca a molti di questi “eletti”.
Costoro magari la scamperanno, visto il privilegio delle cure e le attenzioni speciali – tipo i tamponi negati ai comuni mortali – che la medicina riserva ai VIP.
La scenografia che appare invece nella nostra memoria di studenti più o meno solerti, è quella dei carri guidati dai monatti che scaricano i cadaveri degli appestati nelle fosse comuni, e portano quelli ancora vivi ai lazzaretti, dove la maggior parte crepa poi senza tanti complimenti. Come non collegare quell’immagine di allora alla realtà attuale di New York, con i suoi 7000 morti sui 16.000 totali negli Stati Uniti al momento in cui scrivo, molti dei quali finiti nelle fosse comuni per mancanza di spazio nei cimiteri?
Una sorte simile a quella di Nembro e degli altri comuni della Val Seriana in Lombardia, che da sola registra oltre la metà delle vittime italiane.
Sostituite ai carri dei monatti i camion dell’esercito nel triste tragitto, e la sostanza rimane la stessa, pur tanti secoli dopo.
L’orrore non ha barriere cronologiche né confini da rispettare, Nord o Sud del mondo che sia.
Lo dimostra Il caso ecuadoriano, dove ai defunti sono state negate anche le fosse comuni.
Ma andiamo per ordine.
C’era una volta la Rivoluzione
Se c’è un paese in Sudamerica che ha registrato un crollo verticale a livello benessere e dignità umana, dopo il passaggio di consegne dal governo precedente a quello attuale, questo è l’Ecuador.
In pochi anni (dal 2017, fine del mandato decennale di Rafael Correa con la vittoria elettorale del suo successore Lenin Moreno) la nazione andina ha visto polverizzato il suo patrimonio in termini di riserve monetarie e welfare sociale, venendo anche meno quella solidarietà culturale che la Revolución Ciudadana del partito di Correa, Alianza País, aveva assicurato ai suoi amministrati.
Cosa non facile in un territorio non vastissimo, ma estremamente frammentario nella sua composizione territoriale ed etnica, dove i collegamenti tra le varie comunità sono tutt’altro che agevoli.
Dalle isole Galápagos che distano circa 1000 km. dalla terraferma, ai vulcani imponenti attorno ai quali vivono differenti etnie indigene (il vulcano Chimborazo, con i suoi 6.310 metri è il più alto della terra) fino alla giungla equatoriale che si snoda lungo il fiume Napo – senza dimenticare la minoranza afro/ecuadoriana che vive nella provincia costiera di Esmeraldas, non lontana dal confine colombiano – il popolo dell’Ecuador è un coacervo di genti e idiomi, pur se lo spagnolo rimane la lingua ufficiale.
Picconate al welfare made in FMI
Correa era riuscito a ridurre il tasso di povertà dal 37% al 22,5% creando dal nulla un welfare finanziato sia dalle royalties cinesi collegate all’estrazione del greggio, che dalla tassa di successione sulle eredità cospicue, oltre che dai contributi imposti alle banche dal Bono de Desarrollo Humano. Ciò non permetteva solo di pagare le pensioni di due milioni di cittadini, ma aiutava anche categorie bistrattate dal machismo latino quali le casalinghe e le donne abbandonate con figli a carico.
Il fiore all’occhiello dello stato sociale era però la sanità pubblica, gratuita per tutti, stranieri compresi.
I problemi erano già cominciati prima di Moreno, dopo che il micidiale terremoto del 2016 e il calo del Brent Crude aveva costretto il governo a ricorrere ai prestiti di Pechino, che in contraccambio ottenne l’esenzione dai dazi doganali sui veicoli esportati in Ecuador e una maggiore duttilità nei rapporti con la manodopera locale.
Moreno una volta salito al potere, colse la palla al balzo per emanciparsi dalla visione socialista del suo predecessore e tornare sotto l’ala del FMI, che impose un programma di austerity economica, tagliando i sussidi energetici, e riducendo ai minimi termini l’adeguamento del salario básico mensile, otto dollari lo scorso anno, praticamente uno sputo in faccia.
Lo schiaffo finale a Correa da parte del suo ex delfino, fu prettamente politico: Moreno permise l’arresto di Julian Assange all’interno dell’ambasciata ecuadoriana a Londra, affinché questi fosse sottoposto al processo che potrebbe costargli l’estradizione negli Stati Uniti, e una volta laggiù, una lunga condanna, richiesta a più riprese da Donald Trump.
La classica goccia che determinò poi la rivolta degli indios, fu quella dell’aumento del carburante: il costo del gasolio addirittura raddoppiò, la capitale Quito venne messa a ferro e fuoco, e pur se la polizia uccise otto manifestanti, Moreno fu costretto a rimangiarsi gli aumenti.
Guayaquil, l’orrore dei morti nei cassonetti
In un quadro così deteriorato, la pandemia globale peggiore del dopoguerra non poteva che dare il colpo di grazia.
Tutto cominciò il 19 marzo, quando in piena emergenza coronavirus un Boeing della KLM fu costretto a rinunciare all’atterraggio nella città di Guayaquil, la più grande del paese, poiché una colonna di furgoni aveva occupato la pista dell’aeroporto temendo il contagio. In realtà, l’aereo avrebbe dovuto imbarcare 185 olandesi rimasti intrappolati in Ecuador dopo il blocco dei voli.
https://www.curacaochronicle.com/post/local/angry-citizens-stop-klm-aircraft-in-ecuador/
L’epidemia ha colpito l’Ecuador infierendo in particolare su Guayaquil.
All’11 aprile, la nazione andina registra 7257 casi positivi di coronavirus, di cui circa 4000 sarebbero di pertinenza della città costiera, dove si registrano ben oltre la metà dei 318 decessi dichiarati ufficialmente.
Ciò ha causato panico incontrollabile e scenari da film apocalittici modello Hollywood: le strutture sanitarie ormai al collasso, pur chiamate ripetutamente dai cittadini che avevano denunciato problemi respiratori di genitori e congiunti anziani con altri sintomi inerenti al COVID 19, si sono rifiutate di intervenire; difatti le ambulanze non si sono mosse, secondo le denunce dei cittadini. Numerosi malati non ce l’hanno fatta e sono morti in casa.
Dopo qualche giorno, poiché né gli ospedali e nemmeno le pompe funebri si erano presentate a constatare le morti e ritirare i cadaveri, la gente non potendone più del lezzo della putrefazione, ha cominciato ad accatastare i corpi per le strade, in alcuni casi gettandoli avvolti in teli di plastica nei bidoni dei rifiuti, oppure lasciandoli all’esterno dei nosocomi.
Il COE (Centro Operazionale di Emergenza) ha confermato che centinaia di salme sono state rinvenute in questo stato.
E finora non è dato sapere se tutta questa gente sia morta effettivamente a causa del virus, in mancanza di test comprovanti e in assenza di precauzioni che hanno peggiorato il quadro sanitario. https://www.eluniverso.com/guayaquil/2020/03/31/nota/7800513/coronavirus-ecuador-cadaveres-calles Scene di orrore che sono arrivate anche alle orecchie de Le Iene, le quali ci han messo sopra il loro carico da novanta, mostrando un video di presunti cadaveri bruciati per le strade, che in realtà sarebbero stati solo pneumatici in disuso, almeno secondo pareri discordanti da quelli riportati alla troupe di Mediaset.
https://www.iene.mediaset.it/2020/news/ecuador-bruciati-strada-i-morti-coronavirus_745429.shtml Comunque sia, aldilà dei dettagli macabri, è uno scenario che non si discosta molto dagli anziani lasciati morire nelle case di riposo in Italia, e della scarsità dei dispositivi di sicurezza che hanno causato tante vittime tra i nostri medici e operatori sanitari presso ospedali e centri privati di riabilitazione motoria.
Questa apocalisse sanitaria sta ulteriormente dimostrando un fatto ormai incontestabile: il neoliberismo mondiale, dopo aver causato lo sfascio del servizio sanitario pubblico, dirottando capitali e personale qualificato sulle cliniche private sovente proprietà di società assicuratrici e istituti ecclesiastici, è stato il migliore alleato della pandemia virale in corso.
La sanità privata, come dimostra ampiamente lo scenario statunitense e brasiliano, ma purtroppo anche italiano, è riservata ai clienti solventi, ed è poco disponibile a prestare le sue strutture a situazioni di emergenza come quella attuale, dove ovviamente il fine di lucro passa – o dovrebbe passare – in secondo piano. Il crollo del modello pubblico ecuadoriano voluto da Correa e sabotato dal suo successore, ne è la prova del nove.
Quello che sta succedendo ora nel mondo, smentisce una volta per tutte i tanti “Don Ferrante”, economisti da strapazzo, che ancora spacciano la deregulation privata come un toccasana per l’economia globale.
Ostinandosi a non voler vedere come queste ricette a base di austerity a senso unico, abbiano ottenuto solamente il risultato di allargare a dismisura la forbice della disuguaglianza, forbice che taglia anche i budget degli Stati in difficoltà, privandoli dei fondi necessari per i servizi da offrire alla cittadinanza ordinaria.
Non.solo: rafforzando l’élite dei privilegiati, e indebolendo ancora di più il ceto medio-basso, questi illuminati liberisti comprimono ulteriormente il suo potere d’acquisto, e l’accesso ai consumi non essenziali. Facendo così un pessimo servizio agli appartenenti di quell’élite, che sono anche proprietari delle fabbriche di tali beni di consumo.
Ce ne accorgeremo presto, quando finirà questo incubo, e ne inizierà un altro forse peggiore: la disoccupazione inevitabile dopo che il pianeta si è fermato così a lungo.
(Testi e foto:@ Flavio Bacchetta Copyright)
NB. Un articolo similare dell’autore è stato pubblicato in precedenza: https://www.ilfattoquotidiano.it/2020/04/10/coronavirus-lecuador-registra-scene-di-orrore-il-neoliberismo-e-il-miglior-alleato-della-pandemia/5765747/