Pubblichiamo un estratto delle nuove Ricerche laiche sulla presenza delle confessioni religiose nei canali televisivi pubblici e privati
Pubblichiamo un estratto della presentazione delle nuove Ricerche laiche tratte dall’annuale di Critica liberale (Edizione Biblion).
La ricerca sulla presenza delle confessioni religiose nei canali televisivi pubblici e privati è stata realizzata dalla Società Geca con il contributo dell’Otto per mille dell’Unione delle chiese metodiste e valdesi.
Recentemente la diacona Alessandra Trotta, moderatora della Tavola valdese (Organo esecutivo delle chiese metodiste e valdesi) è stata invitata per ben due volte in programmi televisivi di approfondimento della Rai e nel giro di pochi giorni. Potrebbe sembrare una cosa più che normale dal momento che rappresenta i metodisti e i valdesi italiani, ma, di fatto, nella prassi consolidata, non è così.
A dircelo e l’analisi promossa dalla rivista Critica liberale.
«I dati che la Fondazione Critica liberale raccoglie ogni anno sulla presenza delle confessioni religiose nei telegiornali, nelle trasmissioni di approfondimento, nelle fiction o nei film stanno rivelando che è in corso una mezza rivoluzione. Sia in Rai, sia nelle televisioni private», rileva Enzo Marzo, direttore responsabile della rivista Critica liberale e che da anni promuove la ricerca sulla presenza delle confessioni religiose nei canali televisivi pubblici e privati.
«Precedentemente i risultati (rilevati da una Società di ricerche qualificata, la Geca, 24 ore al giorno su 12 canali, ndr), dimostravano con chiarezza il servilismo, persino eccessivo a favore della Chiesa cattolica – prosegue Marzo –, nonché alcune gravi violazioni della libertà religiosa nel nostro paese. Infatti, le cifre raccolte, hanno sempre confermato la straripante egemonia del Vaticano in televisione».
Anche se, negli ultimi anni, come evidenzia la ricerca, pare sia emersa un’apparente contraddizione.
«Da un paio di anni – si legge tra i dati – il meccanismo filo Vaticano si è dovuto raffinare. La quantità non basta più, anzi può rivelarsi controproducente, perché la gerarchia romana è stata travolta da scandali d’ogni tipo: guerriglia interna, pedofilia ecclesiastica, Ior, processi a giornalisti, talpe interne, eccetera».
Allora, dice il Rapporto, è sembrato meglio censurarsi, tacere, non discutere.
«Anche perché – prosegue Marzo –, siamo di fronte a una guerra aperta tra due fazioni, quella conservatrice che vinse con Ratzinger e una più “moderna”, più gesuitica. Quando fu evidente che la Chiesa di Benedetto XVI era incapace di affrontare la crisi proveniente dal massiccio avanzamento della secolarizzazione soprattutto nei paesi europei e andava al massacro, si cercò, con Francesco, di mutare radicalmente linea. Noi – prosegue Marzo – rimaniamo convinti che Francesco sia riuscito mascherare la faccia profonda del cattolicesimo con eclatanti mosse sul piano pragmatico dell’azione pastorale, ma che stia fallendo su punti che porterebbero la Chiesa romana al passo coi tempi».
In questa fase delicata anche le Tv, dunque, pare abbiano dovuto riposizionarsi.
«Avevamo già fatto notare 2-3 anni fa che le televisioni erano giunte a un punto di esagerazione davvero inaccettabile – afferma il direttore –. […] I media, soprattutto quelli pubblici, non possono relegare le minoranze religiose a percentuali di presenza vicine allo zero virgola, e fare man bassa di tutto il resto, perché questo provoca danni politici e sociali. Per non parlare dei guasti provocati alle politiche di integrazione, che sono stati totalmente sottovalutati. Nella nostra ricerca tutto ciò appare più che evidente».
Già nel penultimo rapporto si rintracciavano alcune novità: le trasmissioni definite «di propaganda» avevano i medesimi dati dell’anno precedente e i telegiornali rimanevano stabili. Nelle trasmissioni di approfondimento, invece (dove si dovrebbero sviscerare le notizie e discuterle) denuncia il Rapporto: era evidente un brusco arresto al pluralismo.
«Era facilmente possibile constatare che – prosegue Marzo – il servilismo e il conformismo si possono dimostrare censurando e non solo facendo propaganda. Nello stesso tempo le confessioni minori continuavano a essere fortemente penalizzate. Soprattutto gli evangelici e i musulmani».
Nell’ultimo Rapporto, dunque, emerge un forte consolidamento della diversificazione tra generi: da una parte una forte propaganda stabile e dall’altra una grande diminuzione della discussione relativa ai fatti religiosi.
«Mentre prima il monopolio cattolico televisivo era dimostrato con i dati, oggi siamo arrivati all’ostentazione, all’esibizione anche teorica dell’abbattimento del pluralismo confessionale», ha concluso Marzo.
Andiamo nel dettaglio. I dati sono tantissimi e scegliamo dal rapporto solo i più clamorosi e relativi ai programmi di approfondimento.
Porta a porta, in quanto a presenze di soggetti confessionali, è passato da 52 del 2015 a 15 (di cui 14 cattolici e un musulmano) del 2018; Uno mattina dai 178 del 2016 ad 80. La tendenza è generalizzata: Agorà passa da 169 a 58, Omnibus da 44 a 4, Otto e mezzo da 8 a 1, Di martedì da 20 a 12. Nel totale di 234, 208 sono cattolici. Se manca informazione, non si lesina nella propaganda: negli ultimi 8 anni si è passati da 57 a 616 fiction.
«Insomma un apostolato continuo», si legge.
Nei telegiornali dunque continua il monopolio quasi assoluto: «Nei tempi di notizia dei soggetti confessionali il Tg1 affida ai cattolici “solo” la percentuale del 98,80 (ai musulmani lo 0,38, agli evangelici lo 0,58), e fa una figuraccia di fronte al berlusconiano Tg4 col suo 99,49 dei cattolici. Due parole su Francesco: non gli va tanto bene: nel Tg1 dell’annata 2014-15 gli dettero voce per il 7,1%, nell’ultimo rapporto è calato fino al 3,8%».
Dati che fanno riflettere.
Fonte: Riforma.it