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Covid-19 e antifascismo

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In questi tempi a lunga meditazione una domanda si propone tra le tante: “Se la peste del 1348 si è ripresentata nel XXI secolo, cosa può impedire che dittature come il fascismo o il nazismo facciano ritorno?”.

Subito, però, viene il dubbio che il paragone possa reggere poco. Se all’epoca di Boccaccio si calcola che la peste ridusse di un terzo la popolazione europea, oggi il tasso di mortalità è in media del 10% dei contagiati (fa eccezione la Lombardia che per diversi giorni è arrivata al 18%), cioè una percentuale che tutto sommato, attraverso le misure adottate di chiusura delle attività economiche, della restrizione in casa e dell’adozione della distanza sociale, ha comportato una diffusione ancora contenuta e gestibile, sia pure talvolta con grande difficoltà. Sennonché, con questa considerazione consolatoria non si sta tenendo conto che, mentre a metà del Trecento esistevano solo le persone fisiche, oggi la vita economica è imperniata sulle persone giuridiche e non si può ancora dire quante di queste finiranno la loro esistenza per colpa della pandemia. Non appare del tutto azzardato ipotizzare che un terzo delle imprese europee potrebbero estinguersi dopo un periodo di inattività finanziaria tanto prolungata quanto quello che si prospetta sicché, aggiungendo al calcolo dei decessi delle persone fisiche anche le estinzioni delle persone giuridiche, il paragone col IVX Secolo potrebbe finire effettivamente col reggere.

E allora la domanda nell’inizio di queste note non risulta poi così bizzarra: “Cosa potrebbe impedire anche alle dittature di ripresentarsi in un prossimo futuro?”.

Una spinta verso l’”uomo forte”, il “gigante pensaci tu”, l’”uomo che non deve chiedere mai” potrebbe venire proprio in questo tempo di disorientamento, di stupore per la fragilità in cui ci siano scoperti improvvisamente sprofondati. Proprio noi che eravamo andati sulla luna, noi che avevamo inventato la bomba atomica, noi che avevamo scoperto i buchi neri, noi che mandavamo le sonde ai confini dell’universo o a cavalcare le comete, noi che stavamo per sbarcare su Marte.

È questo un tempo di grande confusione ed incertezza, che ci fa sentire la mancanza di una guida sicura senza che neppure chi tenti di rifugiarsi in un culto qualsiasi trovi appagamento. Perfino la superstizione lascia oggi perplessi e insoddisfatti.

L’attesa per le istruzioni su come confrontarsi col Covid 19 e comportarsi per sfuggire alle sue subdole spire è piena di ansia e di apprensione, sospesa fra la speranza e il timore dell’insufficienza: troppi consiglieri sono stati chiamati dalle autorità politiche per non manifestare profonde carenze decisionali. Da più parti, in quest’ultimo periodo sono giunti segnali in direzione di un cambiamento della guida governativa indicando ora questo ora quello come taumaturgo e salvatore da esitazioni, indecisioni e tentennamenti.

Eppure, proprio per la novità degli interrogativi che il tempo del corona virus propone, emerge in tutta la sua validità il metodo del confronto e del dibattito tollerante e democratico che, avvalendosi di tutte le voci e specialmente di quelle più autorevoli, risulta il più adatto per la ricerca della migliore e più idonea soluzione atta a contemperare le esigenze della salute con quelle dell’economia e con quelle della socialità.

È documentato, in base alle notizie che pervengono dai vari Paesi, che chiunque abbia tentato di cavalcare autoritariamente la pandemia ha visto naufragare irrevocabilmente la propria immagine rendendo manifesta la propria inettitudine nel confronto con la gravità del momento. Ne sanno qualcosa i Boris Johnson e i Donald Trump i cui pronunciamenti sempre più ondivaghi col progredire della pandemia nei loro Stati ne hanno falciato quell’atteggiamento fiero e sprezzante adottato nel tentativo di cogliere le istanze di sicurezza autoritaria della parte più intimidita della popolazione.

Questi esempi hanno altresì offerto l’esempio di quanto sia facile, per colui che voglia ergersi a solitaria guida del popolo, cadere in un errore di valutazione, sia delle risorse disponibili, sia della forza del nemico. 

Si è trattato, del resto, di nient’altro che della conferma di quanto già si era appreso col fascismo e col nazismo. Regimi violenti, fondati su singole personalità che commisero innumerevoli errori di valutazione le cui conseguenze ricaddero su milioni di persone le cui vite furono sconvolte da quelle scelte scellerate.

Anche il Covid 19 presenta dunque l’aspetto positivo di ricordarci che, di fronte all’ignoto nemico o al problema indecifrabile, non resta che condividere idee ed esperienze, percorrere parallelamente i più svariati tentativi di soluzione, ascoltare tutte le voci per convergere poi verso la disposizione che più convince la maggioranza degli esperti ed adottata, non già come il momento delle decisioni irrevocabili, bensì come la più opportuna deliberazione allo stato delle conoscenze. Con la radicata consapevolezza che essa potrà essere cambiata e sostituita non appena mostrerà segnali di inadeguatezza o verrà superata da altra decisione fondata su ulteriori conoscenze.

Paradossalmente, può concludersi che il massimo delle certezze deriva dal massimo delle incertezze, una volte che queste siano state correttamente individuate, analizzate e sia stata ad esse trovata soluzione, magari non definitiva, ma compiutamente trattata e ragionata nel confronto tra gli esperti.


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