Ma a che punto siamo, ministra per l’innovazione tecnologica Pisano, con le App per tracciare chi è portatore con o senza sintomi del contagio? E si vuole un’altra – pur particolare- applicazione del telefono mobile (di generazione adeguata) o si intende ricorrere al bluetooth come a Singapore? In quest’ultimo caso non è neppure necessario il tracciamento degli spostamenti delle persone. E poi, l’acquisizione tanto dei segnali delle “cellule” dei gestori di telecomunicazione, quanto dei dati acquisiti a nostra insaputa dagli Over The Top. Per capire, ad esempio, quante volte ho digitato su Google “febbre, tosse, congiuntivite…” In quest’ultimo caso il valore aggiunto sta nell’accesso alle sequenze pregresse – lo “storico”- per risalire alle prime tappe del contagio e conoscerne le diramazioni geografiche. Anche se questo riguarda il passato.
Il “Forum disuguaglianze diversità” diretto da Fabrizio Barca ha lavorato ad un progetto di rilevazione campionaria dinamica per affrontare il virus, una vera e propria indagine statistica, come hanno spiegato i curatori della ricerca. Un po’ come l’Auditel per la diagnosi dell’ascolto televisivo, ha spiegato Piero De Chiara.
Sulle pagine de il manifesto sono stati pubblicati diversi contributi (Sandro Del Fattore e Cinzia Maiolini della Cgil, Vanni Rinaldi della Lega delle cooperative, Michele Mezza). La discussione è assai stimolante.
La ministra ha costituito un vasto gruppo di lavoro. E’ in corso, però, una vera e propria lotta corpo a corpo. Il virus ha una velocità di propagazione impetuosa e così ha da essere la risposta. Attraverso ciò che offrono le tecnologie digitali, con la velocità e il loro essere oblique e istantanee. Ne ha parlato recentemente sulla rivista “Media duemila” Derrick de Kerckhove (uno dei padri della materia): al virus si risponde con la viralità della rete.
Insomma, gli attuali decisori escano dagli stili e dai ritmi analogici cui la politica (salvo rare eccezioni) è abituata. Mentre commissioni e sottocommissioni pensano, il morbo si espande. E se non si traccia il mappamondo del contagio non se ne viene a capo. Malgrado le eccellenze del personale scientifico, medico e sanitario.
E’ vero che il regolamento europeo sulla privacy 679/2016 – in vigore anche in Italia- fa eccezione proprio nel caso di un’eventuale epidemia, ma pesi e contrappesi nella dialettica tra due grandi diritti (salute e riservatezza) sono doverosi. Ne ha tratteggiato i termini il Garante Antonello Soro e sulla questione l’autorità da lui presieduta già dispone di ampi poteri. Ma non sarebbe opportuno un immediato e semplice atto normativo, teso a circoscrivere tempi e modi di un’eccezione necessaria, affinché non diventi la regola?
E non è l’occasione per sancire che i dati, come le frequenze, come le “cellule” telefoniche sono beni comuni, magari in uso ma non di proprietà dei privati?
Che la pandemia ci aiuti ad aprire gli occhi: la sintassi dell’età analogica, fondata su una visione vecchia e logora del rapporto tra pubblico e privato, è ormai lontana dalla nuova lingua digitale.
Il governo e il parlamento inseriscano con urgenza in uno dei veicoli legislativi un punto sull’argomento, evitando di impastoiarsi in procedure lente e burocratiche.
E’ pure l’occasione per diffondere le culture digitali in maniera solidale e democratica. Il divide è sociale e cognitivo, prima ancora che tecnologico.
Una rete delle reti può rintracciare e circondare il virus. E ad emergenza conclusa le libertà individuali devono tornare ad essere piene.