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Conoscenza e cultura, le leve più preziose per prevenire ed eliminare le mafie

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La videoconferenza del Centro studi per il 38°anniversario di Pio La Torre e Rosario Di Salvo è occasione di riflessione storica e politica, evitando di scadere nella celebrazione retorica e di maniera. L’anniversario di Pio e Rosario, uccisi dalla mafia il 30 aprile del 1982, due comunisti, un dirigente e un militante, uniti dall’impegno ideale di cambiare in meglio l’Italia e il mondo nel nome della libertà, dell’uguaglianza e della giustizia sociale, ci permette di farlo.

Un anniversario che cade tra altri due, simboli anch’essi della democrazia repubblicana e della storia del movimento di emancipazione dei lavoratori: il 25 Aprile, festa della Liberazione dalla tirannia e dal nazifascismo e il 1°Maggio, festa dei lavoratori dalla fine dell’Ottocento.

L’assassinio di Pio e Rosario richiama la seconda guerra di mafia (1978-1983) durante la quale la mafia di allora tentò di imporre allo Stato democratico il suo potere, asservendo quello politico che negli passati, in nome dell’anticomunismo, l’aveva protetta e favorita con reciproco vantaggio. Da quella guerra, alla quale seguirono le stragi del 1992-1993, la vecchia mafia ne uscì sconfitta.

I delitti politico-mafiosi, da Reina a Mattarella da La Torre a Dalla Chiesa e agli altri servitori dello Stato, tutti partigiani della Repubblica e della sua Costituzione, anche le vittime politiche di parte, segnarono un’epoca di sangue che, per contrappasso, generò la più avanzata legislazione antimafia (legge Rognoni-La Torre, confisca dei beni a mafiosi e corrotti ecc..) e un maggior impegno dello Stato. Dopo la legge Rognoni-La Torre nessuno poté negare l’esistenza delle mafie. “La mafia è un fenomeno afferente le classi dirigenti” scrisse La Torre nella sua relazione della Commissione antimafia del 1976, intuizione più che valida oggi al tempo delle mafie transazionali capaci, con le loro pratiche corruttive, nuove forme di intimidazioni e di reti relazionali, di infiltrarsi nel sistema capitalistico globalizzato e finanziarizzato. Il rapporto torbido mafia-politica rimane la chiave di lettura per comprendere l’economia criminale, la sua morbosa presenza sociale e l’allarme lanciato del suo probabile tentativo di utilizzare a proprio vantaggio parassitario la spesa pubblica per fronteggiare la crisi sanitaria e superare quella economica e sociale post coronavirus.

Questa interpretazione è condivisa dagli studenti italiani, compresi quelli delle carceri, che hanno partecipato alla 13esima indagine sulla loro percezione del fenomeno mafioso. Essi identificano nella protezione della mala-politica la responsabilità per la persistenza delle mafie, nonostante il maggior contrasto repressivo dello Stato.

Dagli studenti, inoltre, emerge il ripudio della mafia acquisito attraverso la conoscenza e lo studio prevalentemente a scuola, ed esprimono massima fiducia verso gli insegnanti, le forze dell’ordine, della magistratura.

La conoscenza e la cultura, dunque, sono le leve più preziose per prevenire ed eliminare le mafie e alimentare un civismo democratico partecipato. È quanto tenta di fare il Centro Studi ricordando assieme all’anniversario di Pio e Rosario il 40° di Piersanti Mattarella anche il 20° della prima Convenzione ONU Palermo 2000 contro la criminalità organizzata riproponendo la lettura secondo la quale, in questo quarantennio è stata sconfitta la vecchia mafia, è cresciuto, nonostante le ricorrenti polemiche interne, il movimento antimafia sociale e politico, ma le mafie, nelle sue nuove forme, possono ancora parassitare lo sviluppo e condizionare i sistemi democratici non solo nel nostro paese.

Occorre una strategia unitaria politica nazionale e internazionale sia a livello politico che sociale per combattere le nuove mafie con un nuovo modello di sviluppo che elimini le pratiche predatorie delle risorse umane e ambientali, la povertà, la disuguaglianza, l’ingiustizia sociale. Tutto ciò presuppone la pace e il disarmo per dirottare risorse umane e ricchezze necessarie per rendere più felice l’umanità.

Sono risposte che trovano consenso tra i giovani, ma che purtroppo trovano avversione tra chi invece vorrebbe usare la crisi del coronavirus per stracciare politiche sociali, controlli antimafia, trasparenza amministrativa e politica, normative antimafie e anticorruzione. Le procedure burocratiche vanno velocizzate e rese più tracciabili, le pene comminate ai mafiosi e ai corrotti vanno scontate nel rispetto della Costituzione e delle vittime di mafia. Solo così potremo uscire dall’attuale crisi più uguali e più forti: attuando la Costituzione democratica nata dalla Resistenza e fondata sul lavoro e la giustizia sociale.


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