Cabiria, Nuzzi e il divino amore

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Fellini, una storia infinita. Tra gli appunti radunati qualche anno fa, ritrovo questo brano riferito al film Le notti di Cabiria che stentava a trovare un produttore, fino a che una sera…

“Una sera, pioveva; una lunga Cadillac nera stava ferma davanti a un portone, coi faretti rossi accesi. Fellini si avvicinò. Era Dino De Laurentiis. Fellini gli parlò del suo film, gli diede da leggere il soggetto che ormai portava in tasca per abitudine. La radio della Cadillac trasmetteva brani di orchestre americane. De Laurentiis lesse d’un fiato il soggetto: era come se la radio facesse da colonna sonora. Quando ebbe finito si voltò verso Fellini e disse: «Ma guarda che str… Vai da tutti e ti dimentichi proprio di me!»”

Ritrovo questi appunti radunati più di dieci anni fa. Erano stati ben undici i produttori che si erano rifiutati di realizzare il film. De Laurentiis era il dodicesimo, ed ebbe miglior fiuto: la storia si sarebbe rivelata un successo planetario quasi paragonabile a La strada. Per Federico e Giulietta fu un trionfo.

Nel 2008 Giuseppina Baldelli, figlia di Mario, il fondatore nel ’34 dell’Osservatore Romano della Domenica, e strenua ammiratrice del film, mi aveva inviato un ritaglio stampa tratto dalla rivista “La Madonna del Divino Amore”, in cui venivano riportate molte altre curiosità su quella singolare avventura felliniana:

Nel lontano 1956 il cinema approdò al Divino Amore: Federico Fellini vi girò memorabili sequenze del film “Le notti di Cabiria”, con cui il pellegrinaggio votivo al Santuario entrò nella storia della cinematografia internazionale. La pellicola in cui compare anche Don Umberto Terenzi, uscì nel 1957. Quest’anno ricorre il 50° anniversario dell’attribuzione al lavoro felliniano del Premio Oscar come “Miglior film straniero” (1958). Il film collezionò altri importanti riconoscimenti:

  • Festival di Cannes 1957: miglior interpretazione femminile (Giulietta Masina), Premio Speciale OCIC (Office Catholique International du Cinèma) a Federico Fellini;
  • 2 David di Donatello 1957: miglior regista, miglior produttore;
  • 4 Nastri d’argento 1958: regista del miglior film, miglior attrice protagonista (Giulietta Masina), miglior attrice non protagonista (Franca Marzi), miglior produttore (Dino De Laurentiis).

I dialoghi romaneschi furono scritti da Pier Paolo Pasolini. Nella celebre colonna sonora composta da Nino Rota figura un brano dal titolo “Picnic al Divino Amore.

Don Umberto Terenzi era il santo prete, di cui è in corso il processo di canonizzazione, che nel 1930 era stato inviato al Divino Amore da don Orione, il fondatore delle opere pie, con l’incarico di trasformare quel luogo di culto sulla via Ardeatina, nella Città di Maria, non diversamente da Pompei, Fatima o Lourdes.

Ma procediamo per gradi.

Federico, dopo La Strada, non sperava in un secondo Oscar così ravvicinato. E pertanto, come ho raccontato in altre occasioni, aveva inviato a Los Angeles Giulietta, la quale si trovò a raccogliere da sola tutti gli allori. Per il pranzo di gala in suo onore, a tavola era stato assegnato all’attrice il posto a fianco a Clark Gable, il suo idolo. Era elettrizzata, non sapeva come esprimergli la sua ammirazione e a un certo punto, come una collegiale, gli aveva chiesto timidamente l’autografo. “Sei tu che hai vinto l’Oscar – aveva riso di gusto il galante collega – questa sera sono io che debbo chiederlo a te!”

Da sempre Giulietta nutriva per il protagonista di Via col vento una passione da adolescente, che Federico ben conosceva e così perfidamente gli aveva demolito l’idolo: “Con quelle orecchie a sventola!”

Avrebbero mai immaginato i coniugi Fellini arrivati a Roma uno da Rimini, l’altra da San Giorgio di Piano, di entrare a far parte del pantheon degli immortali?

Qualche curiosità servirà a introdurre l’argomento. Durante le riprese di Le Notti di Cabiria il regista, circondato dalla consueta équipe tecnica dei suoi aiuti – Moraldo Rossi, Narciso Vicario, Paolo Nuzzi e Dominique Delouche – aveva reclutato anche Brunello Rondi, “con il compito di sottoporgli note di sceneggiatura in rapporto alla regia”.

Il maestro Nino Rota aveva composto per la pellicola cinque temi musicali che indicò come: Il ballabile di terz’ordine, Il motivo dell’incantesimo, L’uomo del sacco, Il miracolo che non si compie, Il mambo “fatuo, volgare” della passeggiata archeologica. Nella sequenza del ristorante di Castel Gandolfo compare anche una canzone napoletana “Larillirà” ed è lo stesso tema con cui alla fine del film i giovani che suonano la fisarmonica accompagnano Cabiria lungo la strada imbiancata dal riflesso della luna.

Per il film erano stati girati 56.000 metri di pellicola durante quattro mesi e mezzo di lavorazione. Le sequenze del Divino Amore avevano richiesto 8000 metri di negativo.

E arriviamo così al celebre episodio del santuario romano sul quale è appena uscito un libretto appetitoso nelle Edizioni Interno4: si intitola Fellini inedito, con 65 fotografie appunto mai mostrate. La pubblicazione è firmata da Jonathan Giustini, un giornalista esperto di musica ma tutt’altro che digiuno di cinema, il quale ha avuto il merito di ritrovare questo tesoretto a casa di Paolo Nuzzi (scomparso nel 2018), autore degli scatti effettuati durante i sopralluoghi per la preparazione del film. Tuzzi apparteneva alla buona borghesia napoletana, il nonno era un severo generale all’antica, il padre un famoso chirurgo accreditato in Vaticano. Lo troviamo tra gli assistenti già ne La strada e ne Il bidone, e rimarrà al fianco di Federico fino a La Dolce Vita, quando l’apprendista si distacca per cercare la propria strada alla RAI, finendo di esordire poi nel cinema solo nel 1974 con Il piatto piange, tratto dal romanzo di Piero Chiara.

Nel libro il lettore troverà ampie notizie su di lui, tranne una che l’autore onestamente non poteva conoscere: Nuzzi fu la causa, probabilmente dolosa, della rottura dell’amicizia tra Federico e Moraldo Rossi, l’altro assistente amato come un fratello. Una vicenda su cui prima o poi sarà opportuno fare chiarezza (tra le fotografie ce n’è una nella quale i due assistenti sollevano a braccia, per gioco, la sedia da regista su cui è accomodata Giulietta).

Mi sembra sorprendente che questa ulteriore testimonianza sul Divino Amore riaffiori proprio nella ricorrenza del Centenario, quando valenti studiosi si stanno interrogando su un tema non comune: “Fellini e il sacro”.

Le notti di Cabiria, come è ormai noto, ebbe un destino molto contrastato, specialmente per l’opposizione della Curia romana e per la condanna da parte della commissione di censura del Ministero dello Spettacolo.

Eppure era dal suo film di esordio, Lo sceicco bianco, che Federico continuava a pensare a quel personaggio di quinta, chiamato Cabiria, che Giulietta in verità aveva interpretato non troppo volentieri: una prostituta buffa e innocente che insieme all’amica (Assunta) cerca di consolare Oscar Cavalli, lo sposino abbandonato dalla moglie Wanda durante il viaggio di nozze a Roma.

“Cabiria cominciò a tenermi compagnia, ci pensavo spesso. – Dichiara Fellini. – Per tenerla buona e tranquilla le promettevo un film tutto per lei.”

Poi al tempo del Bidone, mentre stava girando le scene ambientate in una squallida favela cresciuta a ridosso delle vecchie mura dell’acquedotto Appio, in una baracchetta cadente, ma pulita e ordinata, incontra una simil Cabiria, il suo personaggio fantasticato:

“Nei giorni seguenti – continua il regista – la donnetta mi raccontò qualcosa della sua vita alternando episodi di una realtà atroce, brutale, una vita da bacherozzo, con altri che si capiva chiaramente che stava inventando, confondendo tutto per un bisogno straziante di credere che la sua vita di sciagure fosse così come se la raccontava lei, colorandola con le ingenue, sentimentali fantasticherie della sua povera testa di bambina ignorante e sfortunata.”

Per calarsi meglio in quella umanità derelitta che viveva alla periferia della Capitale, Federico chiama Pier Paolo Pasolini come collaboratore ai dialoghi della sceneggiatura, indispettendo sembra Ennio Flaiano. Aleggiava nella cultura letteraria di quegli anni una Roma ancora arcaica e borgatara, se ne respirava l’aria: Pasolini aveva appena scritto Ragazzi di Vita (1955) e proprio nel 1957 Carlo Emilio Gadda pubblicava presso lo stesso editore Garzanti Quer pasticciaccio brutto de via Merulana. Da quei romanzi emergeva una società preconsumistica e ancora immune da quel metamorfismo antropologico che seguirà al miracolo economico. L’Italia, ancora per poco, resta a cavallo di due versanti distinti, che il regista ha raccontato meravigliosamente nella trilogia dello spirito o spiritualismo fiabesco, il suo impareggiabile realismo magico intriso di tensione religiosa.

Al centro de Le notti di Cabiria c’è la lunga sequenza del pellegrinaggio che la protagonista, insieme ad altre compagne di vita, compie al Santuario del Divino Amore nel giorno di Pasquetta, quando migliaia di romani si riversano in una allegra gita fuori porta a rendere omaggio alla Vergine miracolosa. Tutti insieme, tutti a celebrare l’immagine affrescata della Madonna che alcuni attribuiscono persino a Jacopo Torriti o al Cavallini, e che apparteneva originariamente all’antica Torre di Castel di Leva, nella vasta zona di aperta campagna compresa tra via Ardeatina e via Laurentina.

Ancora oggi i fedeli, attorno a mezzanotte si raccolgono a porta Capena, attorno all’obelisco di Axum (finché c’è stato, prima della restituzione all’Etiopia), per avviarsi in processione, non pochi a piedi scalzi, lungo i dodici chilometri di percorso urbano ed extraurbano. E’ la Roma cristiana che continua a sciogliere il voto per essere scampata nel ’44 alla barbarie nazista, quando l’esercito tedesco in precipitosa ritirata dalla sera alla mattina, non era riuscito come previsto nei piani a ridurre in macerie la Città Eterna, il più ingente patrimonio di tesori artistici della cristianità e del mondo intero.

A salvarla era stata quella stessa immagine della Vergine, scelta due secoli prima dalla devozione popolare, quando un pastore assalito da una feroce muta di cani rabbiosi pronti a sbranarlo, aveva alzato gli occhi a Lei implorando la salvezza; e le belve si erano ritirate miracolosamente in buon ordine, come fermate da una mano invisibile.

Divino Amore è il santuario del popolo, dei poveri; dei “Pasqualini” come don Terenzi appellava i suoi protetti.

Il rito cristiano era anche allegra festa pagana, festa vera; anzi scampagnata di folla, che dopo il rito della penitenza di massa presso i confessionali sparsi lungo i prati in declivio, raggiungeva pieno compimento nel ‘boccone’, con ritrovata leggerezza di cuore; un’esaltante colazione sull’erba onorata con ogni ben di Dio, e senza alcuna differenza di ceto e appartenenza: “Donne di vita, storpi, ragazzacci, papponi, spacciatori. Ma spalla a spalla con i manigoldi, anche i malati, i signori in automobile, preti e prelati, e carri i fiori discesi dai Castelli. Molti scatti del servizio fotografico di Nuzzi sembrano davvero anticipare scorci, gesti, atteggiamenti, fisionomie, che ritroveremo fedelmente nel film.

Pasolini parlava di “poetica creaturale”, ma anche di “un momento pre-religioso, o religioso nel profondo”.

Federico aveva rievocato proprio quella festa della fraschetta per la sua Cabiria, la quale in uno stato di eccitazione, quasi di ebrezza mistica, vi si reca a chiedere in segreto la grazia di redimersi, di potersi affrancare dal suo abietto mestiere.

Nel film la sequenza successiva è quella del teatro di varietà in cui Cabiria incontra il ragionier Oscar D’Onofrio, subito illudendosi che sia l’uomo della sua vita, l’amore vero, il matrimonio, una esistenza finalmente onesta e regolare. Sappiamo bene come andrà a finire.

Tra le fotografie di Nuzzi scorgiamo Federico in stretto colloquio con don Umberto Terenzi (che, è vero, sembra un po’ Aldo Fabrizi di don Morosini), il prete visionario, l’apostolo della fede che aveva elevato il luogo santo a un poderoso accampamento di fede.

Dichiarerà Giulietta Masina al termine della lavorazione:

“A tutte le violenze Cabiria ha reagito giorno per giorno, e giorno per giorno, nel suo inconscio, ha saputo dire di no, grazie a un potenziale di vitalità che è in lei, malgrado tutto, e che la rende pulita, in un mondo di gente torbida e intorpidita. Questa verità che Cabiria, alla fine, mi ha dato in regalo, quando tra le lacrime che segnano la sua ennesima ripresa mi ha lasciato, questa volta per sempre.”


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