Lo hanno arrestato con l’accusa di “disonorare il popolo turco, lo stato turco e le istituzioni” e di “minare l’unità e l’integrità territoriale del paese”. Questa volta a finire in carcere il collega Mahir Boztepe, caporedattore dell’edizione turca di Sputnik.
A darne notizia il sito della testata russa finanziata dal Cremlino.
La procura di Ankara ha aperto un’inchiesta per alcune inchieste apparse sul giornale online dell’agenzia di stampa con sede in Russia e varie edizioni in altri paesi in cui si criticava l’operato del presidente turco Recep Tayyip Erdogan. Tra le pubblicazioni contestate, quella dal titolo ‘La provincia rubata’.
Nell’articolo si parlava del distretto di Hatay, annesso alla Turchia nel ’39, dopo che era stata sotto il mandato francese in Siria e Libano.
Per questo lavoro erano già stati fermati anche tre collaboratori di Sputnik, rilasciati, come Boztepe, solo dopo una telefonata tra i ministri degli Esteri Mevlut Cavusoglu e Serghiei Lavrov.
La polizia turca nei giorni scorsi, otre a perquisire la sede di Isranbul di Sputnik e a fermare i quattro giornalisti, ha arrestato altri quattro cronisti di due agenzie filocurde che sono stati accusati di propaganda del terrorismo.
Si tratta dell’ennesima ondata repressiva che si abbatte sull’informazione turca che non accetta il bavaglio imposto dal regime di Erdogan, che mal gradisce chi racconta ciò che avviene nel Paese divenuto ormai una prigione a cielo aperto per gli operatori dell’informazione.
Intanto il Sultano, impegnato nella campagna militare in Siria che sta costringendo alla fuga migliaia di persone sotto attacco a Idlib.
Turchia e Siria sono ormai sull’orlo di una guerra dopo l’attacco alle truppe di Ankara, che avanzavano verso la città siriana, da parte delle forze di Bashar al-Assad e la dura risposta turca.
Erdogan è arrivato a invocare un intervento della Nato e non esita a ricattare l’Europa spingendo i rifugiati alle sue porte.
L’Alleanza è fortunatamente rimasta fredda mentre l’Ue si affida a Berlino, che tiene in piedi il dialogo con la Turchia.
Nel caos determinato dall’epidemia da coronavirus, la diplomazia internazionale sembra finalmente essersi accorta che le crisi in Medio oriente e nel Mediterraneo sono tutte aperte, e almeno una di esse, già causa di una emergenza umanitaria, rischia di esplodere, sia dal punto di vista militare sia da quello della gestione dei migranti.
A innescare il rischio concreto di una escalation fatale è stato l’attacco aereo con cui la scorsa notte Damasco ha ucciso 33 soldati turchi a Idlib. Erdogan ha subito convocato un consiglio di sicurezza straordinario per decidere da un lato la controffensiva sul terreno e dall’altro la minaccia all’Ue. Mosca non è riuscita a convincerlo che i soldati turchi uccisi da Damasco si trovavano i mezzo a terroristi siriani, ma si è subita mossa per spingere Bashar Assad a lavorare a un cessate-il-fuoco.
La sponda diplomatica in Europa, il Cremlino l’ha trovata nel giro di qualche ora in Angela Merkel, che in serata ha chiamato il presidente turco per definire “spietati” gli attacchi ai soldati turchi e chiedere “la fine delle operazioni offensive del regime siriano e dei suoi sostenitori”.
La Merkel si è detta pronta a organizzare un vertice al quale partecipino Erdogan, il presidente francese, Emmanuel Macron, e il capo del Cremlino, Vladimir Putin.
Intanto è già stato fissata una riunione di emergenza dei ministri degli Esteri dell’Ue la prossima settimana per discutere l’escalation del conflitto tra Damasco e Ankara nella provincia nord-occidentale siriana e la conseguente crisi dei profughi.
L’Alto rappresentante per la politica estera dell’Unione Europea, Joseph Borrel, non ha esitato a definire i combattimenti intorno alla roccaforte ribelle siriana di Idlib “una grave minaccia per la pace e la sicurezza internazionali” con gravi conseguenze umanitarie per la regione e oltre.
La prima conseguenza sono i quasi 80mila migranti che hanno già oltrepassato la frontiera tra Turchia ed Europa.
Nelle ultime ore le autorità greche hanno fermato quasi 10mila migranti che tentavano di entrare via terra in territorio greco mentre almeno 500 persone su sette imbarcazioni hanno raggiunto le isole di Lesbo, Chio e Samo.
Da venerdì, quando Ankara ha annunciato che non avrebbe più trattenuto i migranti sul suo territorio perché non riesce a far fronte al flusso di persone in fuga dalla Siria, in particolare dalla provincia di Idlib, sotto attacco del regime di Damasco, i flussi sono ripresi con una frequenza che appare inarrestabile.
Una strategia chiara quella di Erdogan che tenta, in questo modo, di usare i migranti come arma di ricatto nei confronti dell’Europa.