La sera di sabato 14 marzo, la biblioteca nazionale Viječnica di Sarajevo e il Ponte Vecchio di Mostar si sono tinti del tricolore, in segno di solidarietà con l’Italia e gli italiani che stanno affrontando l’emergenza legata al diffondersi del coronavirus. Segno di un legame che va oltre i tempi del conflitto
“Questo paese nelle ultime settimane si è trovato al centro della pandemia del coronavirus. Anche se il mondo intero, come noi in Bosnia Erzegovina, si sta confrontando con il diffondersi del virus e la necessità di misure preventive, inviamo un messaggio agli amici in Italia per dire che siamo loro accanto, come loro sono stati accanto a noi quando per noi è stata dura. Solo attenzione, responsabilità e pazienza sono le giuste risposte alla sfida che stiamo affrontando”.
Con queste parole il sindaco di Sarajevo centro, Abdulah Skaka, ha accompagnato l’accensione dei riflettori verdi, bianchi e rossi sulla Viječnica. Un gesto simbolico molto forte, considerato che questo bellissimo palazzo è rinato dalle macerie dopo anni di ricostruzione, distrutta in una sola notte nell’agosto del 1992 da bombe incendiarie nel cui rogo bruciarono anche migliaia di libri.
L’ambasciatore italiano in Bosnia Erzegovina, Nicola Minasi, per l’occasione era davanti alla Viječnica con il sindaco, ed emozionato ha postato un video : “Grazie a Sarajevo e alla Bosnia Erzegovina per il suo affetto e la sua solidarietà”.
Ringraziamenti che sono arrivati anche da tanti cittadini italiani attraverso i social, come da rappresentanti istituzionali quali la vicesindaca di Milano Anna Scavuzzo, una delle persone che tanti anni fa cominciò azioni di volontariato a Sarajevo: “In questo assedio sanitario che stiamo vivendo a Milano e in Italia, tante volte ho pensato ai racconti dalla città assediata che ho nel cuore. Due storie diverse, due condizioni diverse e so bene che non possiamo e non dobbiamo confondere. Però stasera vedere la mia Sarajevo e la Bosnia Erzegovina che si tingono di bianco, rosso e verde mi ha commossa. E ho pensato che hanno trovato il modo di starci vicini rimanendo a distanza di sicurezza. Grazie, hvala”.
Proiettato poi il tricolore anche sullo Stari Most, il Ponte Vecchio di Mostar, arco che dal 1557 collega due parti della città divise dal conflitto degli anni ‘90, che il 9 novembre del 1993 venne abbattuto a colpi di granate. Una città Mostar – purtroppo ancora divisa, nonostante il ponte ricostruito – dove molti italiani mantengono amicizie, collaborazioni e legami forti.
Un legame – quello tra Bosnia e Italia – che ha raggiunto un apice solidale proprio negli anni ’91-’99, come sottolineano i ricercatori di OBCT Marzia Bona e Marco Abram nell’analisi Cercavamo la pace realizzata da OBCT nel 2014: “‘Sarajevo. Provaci tu, cittadino del mondo’ titolava la rivista Avvenimenti nel luglio 1993. L’appello lanciava Mir Sada – We share one peace, la più ambiziosa iniziativa organizzata dalla società civile italiana in occasione delle guerre della dissoluzione jugoslava, che portò nel cuore della Bosnia circa duemila persone. L’obiettivo dichiarato era quello di spingersi fino alla Sarajevo assediata, con lo scopo di contribuire a fermare il conflitto che infiammava il paese. Pur non essendo riuscita a raggiungere la capitale bosniaca, Mir Sada rimase la più rinomata e controversa manifestazione di quegli anni, massima espressione di un’ampia e variegata mobilitazione che impegnò a lungo la società civile italiana, spingendola a sperimentare nuove forme di intervento fuori dai confini della penisola”.
Una mobilitazione che – notano Abram e Bona – ha influenzato diversi aspetti della sfera pubblica italiana: “Dai percorsi del pacifismo alle evoluzioni dell’umanitarismo, dal rapporto tra mondo politico e società civile alle strategie del volontariato. La capillarità di tale esperienza è confermata dall’ingente corpus di testimonianze prodotto dai protagonisti negli ultimi due decenni, composto da numerosi diari, memorie, resoconti di progetti e iniziative”.
Legami e ponti che non sono scomparsi con la ricostruzione nel post-conflitto e che continuano a vivere in scambi tra scuole e università, associazioni ambientaliste, gruppi di donne e di giovani, realtà del mondo della cultura come tra singoli artisti, aziende e cooperative, attivisti che si battono per la giustizia e i diritti umani, ma anche tra singoli cittadini e cittadine o piccole comunità. Intrecci di solidarietà che hanno superato il tempo di guerra e in tempo di pace ci riuniscono ancora, davanti alla Viječnica e al “Vecchio” di Mostar.