Ricorrono due anniversari piuttosto significativi. Uno riguarda Alberto Rochey, mitico direttore della Stampa, amico di una vita di Eugenio Scalfari e intellettuale a tutto tondo, esponente di quella grande scuola liberale che aveva nel Mondo di Pannunzio la propria bussola e che avrebbe trovato il proprio habitat ideale nel contesto del cosiddetto “Partito torinese”, in area FIAT e dintorni, costituendo uno dei punti di riferimento della fruttuosa stagione del centrosinistra. Non a caso, uno dei libri più importanti di Ronchey è l’Intervista sul non governo realizzata con La Malfa, in cui lo storico segretario repubblicano riflette sui grandi temi dell’antifascismo e delle prospettive di un Paese che già allora mostrava evidenti cenni di crisi e notevoli difficoltà nello stare insieme al cospetto di una crisi democratica travolgente. Erano gli anni Settanta, eravamo alle prese con il terrorismo e La Malfa costituiva una bussola del pensiero costituente, al pari di un altro grande giornalista, proprio della Stampa, con cui Ronchey aveva un rapporto strettissimo: Carlo Casalegno, colpito a morte dalle BR il 16 novembre 1977 e deceduto dopo tredici giorni d’agonia. Un liberale, un protagonista del nostro tempo e un commentatore di sopraffina intelligenza, che attaccava le Brigate Rosse e i loro metodi barbari non solo da un punto di vista umano ma anche perché intravedeva tutti i limiti e gli elementi controproducenti di un modo di agire devastante per la coesione sociale.
Non so chi sia stato più british fra Ronchey e Lamberto Sechi, il mitico direttore di Panorama, cultore dei fatti separati dalle opinioni e degli articoli redatti secondo il rigoroso schema delle cinque W tipiche della stampa anglosassone La certezza è che Ronchey era un cronista dotato di un rigore, morale e professionale, senza eguali, un uomo di una pignoleria assoluta, capace di scrivere e riscrivere i propri articoli fino a quando non erano pressoché perfetti, contrario a ogni retorica e allo stile pomposo ed esagerato di chi ne approfittava per mettersi in mostra anziché narrare i fatti e fornire un parere sensato ai lettori.
Ci lasciava dieci anni fa, al termine di una lunga avventura che affondava le proprie radici in anni ormai lontani; il che, tuttavia, non gli ha impedito di rinnovarsi costantemente e di riuscire a vivere in prima linea ogni circostanza, non smettendo mai di raccontare storie e di cercare, cercare, cercare ossessivamente senza mai sentirsi pienamente appagato. Era un maestro e un punto di riferimento per molti e oggi ci rendiamo conto di quanto ci manchi quel rigore che, finché è stato in vita, è parso a molti di noi finanche eccessivo.
E non meno rigoroso è stato Nicola Calipari, l’agente del SISMI che nel 2005 si recò in Iraq per contribuire alla liberazione di Giuliana Sgrena, la giornalista del Manifesto rapita dal Jihād islamico mentre stava realizzando un reportage per il suo giornale e liberata un mese dopo. L’automobile sulla quale viaggiavano venne colpita da fuoco americano mentre percorreva la strada che conduceva all’aeroporto di Baghdad e Calipari le fece scudo col suo corpo, morendo in circostanze mai realmente chiarite e lasciando un vuoto incolmabile nella sua famiglia e in un ambiente spesso discutibile come quello dei servizi.
Un galantuomo, un funzionario irreprensibile e una persona in grado di rassicurare gli altri anche nelle situazioni più drammatiche, come dimostrò quella maledetta sera in Iraq, quando la sua vita venne spezzata a soli cinquantuno anni e il nostro dolore fu totale. Avevamo perso, infatti, un servitore dello Stato, un amico dei più deboli e un esempio per tutti. Sono trascorsi quindici anni ma la sofferenza è immutata.
Due storie, un’idea d’Italia e una comune visione del mondo. Non ci siamo ancora abituati alla loro assenza.
P.S. Dedico quest’articolo a Ernesto Cardenal, scomparso a novantacinque anni dopo una vita trascorsa a contrastare ogni barbarie. Sacerdote, poeta della rivoluzione, teologo della liberazione ed eroe sandinista: un’esistenza esemplare e meravigliosa per la quale non possiamo che dirgli grazie e rendergli omaggio.
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