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Repubblica Centrafricana, le invisibili ferite aperte del conflitto

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Sono le sei e mezza di mattina, a Paoua, in Repubblica Centrafricana, il sole è appena sorto svegliando così i bombi che iniziano a ronzare appena fuori della porta di camera mia. Reduce da una notte calda e senza vento, un pò disidratato, mi sveglio lentamente. È ancora presto e decido di fare un giro in giardino. Dopo qualche passo, ancora mezzo addormentato, mi imbatto in due buoi dalle lunghissime corna che mi guardano con i loro occhi neri, lucidi e calmi. I buoi sono attaccati ad un carretto guidato da due ragazzini, avranno al massimo 10-11 anni. Ogni mattina prendono l’acqua dal pozzo e la rivendono porta a porta, percorrendo lentamente le polverose e accidentate strade di terra rossa a bordo del loro carretto dondolante.

I ragazzi di questa età non hanno molti ricordi del loro Paese in pace. La guerra, infatti, è iniziata nel marzo del 2013 quando uno dei tanti gruppi armati presenti nel paese, conosciuto come Seleka, ha marciato sulla capitale Bangui e deposto il presidente in carica, Francois Bozizé, prendendo il potere.

In seguito a questa scintilla, i combattimenti fra Seleka, composto quasi totalmente da musulmani, e i gruppi armati cristiani, conosciuti come Anti-balaka hanno precipitato il Paese in una spirale di violenza, stupri, uccisioni e torture che non è ancora terminata.

La fase più intensa del conflitto si è conclusa nel 2015 ma, 5 anni dopo, la tensione in molte parti del Paese è ancora alta e spesso sfocia in sanguinosi combattimenti, nonostante l’accordo di pace firmato nel febbraio 2019 a Khartoum. Le elezioni, annunciate per dicembre di quest’anno contribuiscono ad aumentare ulteriormente il clima di incertezza e tensione nel Paese, mai completamente pacificato… Continua su vociglobali


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