Otto marzo: personalmente non mi fa più nessun effetto. Ma il parere di una donna non significa che sia “di tutti”. Anche al maschile dire “un uomo” non significa tutti gli uomini; solo che uomo “comprende” anche le donne.
Negli ultimi tempi, in anticipo sulla “festa” (un giorno su 365) la Presidenza della Repubblica, il Parlamento, il Governo e anche la Cei hanno preso atto dello stato disastroso della demografia italiana e si sono impegnati a intervenire fattivamente a beneficio de “la famiglia”.
Le donne non si sentono mai tranquille quando le istituzioni usano la parola che per lo Stato indica il più grande degli ammortizzatori sociali, mentre per loro indica il luogo dove si commette il maggior numero dei reati e dove ognuna di loro, anche se fosse la Ceo di una multinazionale, ha un ruolo precostituito. Se è una lavoratrice o una casalinga sa per esperienza che i governi non stanno pensando a lei e si sente ancor più stressata: i tempi in cui viviamo corrono veloci e sovraccaricano così tanto di ansia che anche la maternità diventa costosa e i figli non “appaiono”, ma sono più esigenti e sfuggenti fin da piccoli. Succede che giovani donne non si sentano nemmeno in colpa se non provano più la pulsione procreatrice che aveva ispirato le madri e le nonne.
Non finisce certo la gioia della maternità: solo che oggi ciascun essere umano deve coniugarla con la libertà: è un valore identico per la donna e per l’uomo. L’uomo che non ha portato in pancia il figlio per nove mesi, ha impostato la propria relazione con la famiglia e i figli su valori concepiti dal suo “ruolo”: la paternità, a differenza della maternità, sembra non essere “naturale” e quindi carica di doveri diversi. Infatti ogni madre nei nove mesi impara la relazione non solo con il figlio ma con le priorità della vita, che sono la sopravvivenza e la convivenza. L’uomo ha un ruolo peggiore: spetta ancora a lui dare il nome alla famiglia, “mantenere” la moglie con il suo lavoro ma, se per caso venisse dichiarata una guerra, l’attesa di un figlio non lo esonererebbe. La donna invece ha guadagnato la possibilità di studiare e lavorare senza essere mantenuta, ma il suo lavoro resta concettualmente non uguale: se si assenta per gravidanza, danneggia l’attività produttiva. Evidentemente “la produzione” non è compatibile con la ri-produzione.
Se non si sa che cosa si celebra l’8 marzo, sforziamoci di ribaltare il “modello unico” che in tanti anni di celebrazioni le donne non sono riuscite a contaminare. La narrazione biblica dice che Dio riflette se stesso non nel soggetto unico “uomo”, ma nei due generi, mentre l’uguaglianza lo ha assunto come misura degli individui, “senza individue”. Eva commise un peccato strano: fu attratta dall’albero della conoscenza. Le donne sono ancora lì, a chiedere perché mai oggi dovremmo essere sedotte dal modello competitivo, gerarchico, sopraffattore, se il prezzo da pagare è accettare l’esempio che ha portato a maggiori discriminazioni, crisi, violenze nella conduzione del mondo. Non sarà facile spostare i pilastri, ma i maschi forse meno padroni di un tempo pensino se non sarebbe meglio partire dal loro sé. Anche papa Francesco (come tutti i “capi religiosi”) si domandi se per lo stile evangelico che intende dare alla cattolicità del futuro – se ci riuscirà, insidiato com’è da talebani fondamentalisti – è più utile la tattica gesuitica tradizionale o la strategia coraggiosa di sostituire il modello del motore partendo dal modello femminile. Il vetero-femminismo ha ancora carte da giocare in società malate che disconoscono la relazionalità.
Il neo-femminismo di Non una di meno e #MeToo punta tutto, giustamente, sulla violenza sessuale, che è la prima alla radice dei poteri e dei conflitti. Il potere gerarchico, in tutte le sue forme e in tutti i paesi del mondo – lo dicono perfino le suore che accusano alcuni maschi “ordinati” di usare violenza a consorelle non “ordinate” – non può diventare il modello universale a cui conformare tutti gli umani, a prescindere dal loro essere, non solo biologicamente, creatori e creatrici di vita. La radice malsana che ha avvelenato la coppia umana alle origini va estratta per ricomporre l’uguaglianza dei generi sulle diverse esperienze storiche che ci rendono uomini e donne diversi, ma uguali in umanità.