Dopo una parentesi da giallista, Walter Veltroni torna alla saggistica, proponendo un pamphlet di agile lettura pubblicato il 10 marzo da Rizzoli dal titolo “Odiare l’Odio. Dalle grandi persecuzioni del Novecento alla violenza sui social: le conseguenze tragiche di una malattia del nostro tempo”. Veltroni affronta con sguardo attento e piglio deciso uno dei ‘grandi mali’ della contemporaneità, dal ventennio fascista agli anni di piombo, fino a giungere ai giorni nostri in cui l’odio si alimenta nella rete a colpi di hate speech e fake news.
“L’odio si insinua nei pertugi delle nostre incertezze, delle nostre inquietudini, dei nostri disagi, della coscienza talvolta rabbiosa delle ingiustizie del mondo. Di quelle sociali, di quelle civili. Si infila nelle ferite del nostro tempo e progressivamente ci domina. Si impadronisce delle nostre parole, dei nostri stati d’animo, ci fa guardare con occhi diversi coloro che sono di fronte a noi. L’odio, quando si è diffuso, ha determinato, nella storia dell’umanità, i momenti più tragici e le pagine più scure”.
Alla base dell’odio c’è sempre la paura, l’insicurezza, che si trasforma in chiusura e violenza verso un nemico da combattere, sia esso lo straniero, il migrante, l’omosessuale.
E se Veltroni, nel racconto di una vicenda familiare dolorosa tocca le corde più profonde del nostro animo “Mio nonno nel 1944 fu preso dai nazisti e fu portato a via Tasso, insieme a mia nonna, perché aveva ricoverato in casa – nel palazzo dove io oggi abito – degli antifascisti e degli ebrei. Fu preso, fu torturato – era un uomo grande, massiccio – e sua moglie, mia nonna, fu messa nella cella vicino perché sentisse le torture subite da suo marito e parlasse. Mia nonna, che era una donna piccola, minuta, meravigliosa, non disse una parola, e nemmeno lui disse una parola. Uscì dal carcere fisicamente distrutto, e poco dopo morì.”, e più oltre racconta la paura che lo accompagnava negli anni dell’adolescenza, gli anni di piombo, più oltre si distacca da sé, offrendo una disamina attenta e avvalorata da dati e statistiche su quanto oggi è sotto gli occhi di tutti. Il web ha amplificato tutto quello che prima, pur esistendo, restava taciuto, offrendo la possibilità a chiunque di scagliarsi contro chiunque, senza alcun freno. In un’illusione di ‘democrazia’, che tale non è. E in questa partita è stato fondamentale il ruolo della politica, in cui l’emergere dei sovranismi ha prestato il fianco al riaccendersi di intolleranza e razzismo. L’11 settembre prima e la crisi finanziaria sette anni più tardi ci hanno reso più fragili ed incerti verso il futuro. E questo non ha fatto che alimentare paura, presto trasformatasi in odio. “L’odio diventa spirito del tempo e avvelena i pozzi”, giustamente suggerisce l’autore, testimone, come tutti noi, negli ultimi anni di “un’abbuffata di sangue e dolore”. Nonostante tutto Veltroni non rinuncia alla sua tipica vena buonista, lasciandoci con un messaggio di speranza. L’autore invita ad ‘odiare l’odio’ per dare nuova linfa alla democrazia e così conclude: “Io non rinuncio all’idea che questo mio Paese, e non solo il mio Paese, sia costituito per la stragrande maggioranza da persone che rifiutano la logica dell’odio e pensano che invece sia possibile, di nuovo, vivere in una società aperta, inclusiva, ordinata, giusta socialmente. Attenta ai temi ambientali, ai diritti sociali e civili delle persone. Se noi che odiamo l’odio troveremo le parole giuste, allora la libertà avrà un futuro. E nel futuro ci sarà la libertà.”
Un messaggio importante, forse utopistico, ma nel quale si ha un disperato bisogno di credere. Proprio in queste difficili settimane in cui la pandemia del coronavirus ha stravolto le nostre quotidianità e in cui sarebbe auspicabile rinvenire un senso di comunità e solidarietà sociale, si sentono invece invettive contro il nuovo nemico, questa stavolta la Cina – dimentichi forse dell’importante contributo che medici e operatori cinesi stanno offrendo al nostro Paese per vincere questa battaglia – e solo nuove, insensate forme di rabbia e violenza.