La normalità protratta nel tempo si svaluta: diventa routine. Ma appena viene turbata, riacquista il suo prezioso valore. Ora ci manca il nostro palinsesto che scorreva quasi in automatico: caffè – traffico – lavoro – pausa pranzo – lavoro – traffico – cena – chiacchiere in famiglia – tv – spazzolino – letto. Già pregustiamo il dopo, quando tutto finirà e tutto ricomincerà. Come prima.
Già, ma quando? Questa è una domanda che non fa bene porsi. Perché distoglie energie dal presente. Quello che ci vuole invece sono le emozioni positive. Magari un po’ retoriche come i video con bandiere italiane, monumenti, musica in crescendo e il “ce la faremo!” finale nel cielo blu. Evitare invece d’intossicarsi di Tg, Approfondimenti, Esperti… tutti con un solo messaggio: stiamo messi male. Lo sappiamo. Stiamo a casa per questo. Ma rosolarci per ore nell’ansia dei bollettini nefasti – con tutto il rispetto – non serve. Quindi Tg, q.b. (quanto basta), ginnastica q.b., scale a piedi per buttare la spazzatura e fare la spesa (con calma), buone letture, musica e hobby a volontà.
Mai sottovalutare, però, il rispetto del “territorio” degli altri residenti coatti. Guai entrare in una stanza dove un familiare si è “ritirato” senza bussare: stiamo invadendo il suo spazio vitale e ormai lavorativo; una negligenza che scatena l’aggressività primordiale dall’amigdala, la parte più animale del nostro cervello con competenze essenziali (cibo, ruolo, sesso, territorio). Usiamo invece la parte evoluta della materia grigia per ricordarci la motivazione civile di questo disagio: aiuta. Immaginiamo di partecipare ad una grande manifestazione “diffusa”; siamo milioni, non in piazza, a casa, ma con lo stesso intento: uscirne insieme. E anche se non lo sentiamo, stiamo scandendo in questa folla oceanica lo stesso slogan: Hasta la normalidad… Siempre!
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