Quel 16 marzo sono arrivato a via Fani pochi minuti dopo l’attentato. Gli uomini della scorta non erano ancora stati pietosamente coperti. Ho riconosciuto immediatamente il mio amico Oreste Leonardi e l’autista Domenico Ricci. Erano gli uomini con cui, all’università, avevamo più modo di chiacchierare. Personaggi straordinari che nutrivano per Moro un vero e proprio amore. Uomini giustamente orgogliosissimi del loro lavoro si ritenevano,a ragione, pezzi delle istituzioni. Una vita di sacrificio profondo:basti pensare che Leonardi e Ricci si trovavano ogni mattina almeno un’ora prima dell’appuntamento con Moro e ogni sera si ritiravano almeno un’ora dopo aver lasciato lo statista a casa. Eppure mai una volta li ho sentiti lamentarsi. Solo Leonardi quando ci ritrovavamo una volta al mese al Civis per
le conferenze del Professore, alle due di notte – al momento di lasciarci e qualcuno pensava di continuare il dialogo con Moro – ci avvertiva simpaticamente: “ Lasciateci andare altrimenti sparo”. Accanto a loro, quella mattina, c’erano altri servitori dello stato:Raffaele Iozzino,Giulio Rivera, Francesco Zizzi. Sono nomi che dovrebbero essere stampati nella nostra memoria e in quella di tutto il Paese. Invece Conosciamo ormai troppo le ragioni dei killer e troppo poco quelle delle vittime. Forse è
venuto il momento di una riflessione: informazione è anche ( soprattutto?) memoria.