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L’informazione al tempo di Covid-19. Una conversazione con Nello Scavo, giornalista di Avvenire

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Cominciamo dalla Carta di Assisi. Sul tema muri la Carta insegna che tu puoi costruire muri, frontiere e porti  chiusi  però poi ci sono avvenimenti che impongono di essere comunità con il tuo vicino, non puoi pensare di chiudere tutto perché il virus che sta creando il disordine mondiale arriva lo stesso. Il ruolo dell’informazione di qualità secondo me in questo tempo risalta molto di più.

In positivo e in negativo,  come risalta di più?
Da un lato si è evidenziato subito il ruolo del  giornalismo di mediazione che filtra e racconta. Un giornalismo che si nutre di curiosità e molta competenza. Ci costringe a scegliere anche interlocutori autorevoli, i migliori specialisti e pone ognuno di noi davanti alla responsabilità rispetto ai lettori. Ancora più il dovere di essere comprensibili senza suscitare traumi inutili perché in questi anni di abuso della cronaca nera l’attenzione morbosa aveva di fatto esagitato l’informazione. Dall’altro lato,  tuttavia,  emergono i danni dell’ attitudine di una informazione fai da te dei social: è scontato che una catena virale di notizie abbia  un grande impatto sui lettori. Spesso abituati a diffidare delle informazioni dei giornalisti. La domanda: “Cosa ci stanno nascondendo” che serpeggia è segno che abbiamo perso credibilità. Mettiamola in questo modo: questa potrebbe essere una occasione per guadagnare terreno sulla sfiducia diffusa  rispetto alla nostra professione.

Si è aperta una polemica sul fatto di considerare “informazione bene di prima necessità”
Proprio per questo vorrei ricordare come i poveri ed eroici edicolanti, di cui si parla sempre troppo poco,  siano operatori che rischiano a tutti gli effetti come i farmacisti.
Io ritrovo grande coraggio  in tanti colleghi di tutti i notiziari, negli  operatori, e nei tecnici  che si espongono  molto. La  tendenza è raccontare e questo è certamente importante oltre che utile e doveroso. Non mi  piace, piuttosto,  il lessico abbinato alla guerra. E’ un po’ la stessa retorica del linguaggio utilizzato quando  si parla di cancro. Chi sconfigge  il male è raccontato un eroe. Ma chi non ci riesce non è certo meno guerriero.  Questa epidemia colpisce molte persone anziane, non è colpa loro se non riescono a vincere questa battaglia. Quindi “no” al lessico bellico anche se capisco che sia difficile costruire un dizionario nuovo. Forse anche questa può essere un sfida per ognuno di noi.
E tornando alla domanda: considerare l’informazione  come bene di prima necessità come il  lattaio, il farmacista e il panettiere è del tutto corretto. Piuttosto siamo noi in ritardo  perché  in alcuni paesi – come il Regno Unito e altri in Europa – si crede nella buona informazione legata alla  democrazia in quanto utile a sorvegliare il potere. E in questi giorni anche a proteggerci dall’altro contagio, quello delle fake news?

Un’analisi  sull’informazione televisiva?
Noto con un certo piacere le  difficoltà oggettive di alcuni talk show a fare cronaca scandalo. Osservo  come  qualche “pretone con la tonaca” a favore di telecamera,  e sono proprio io a usare questa definizione, in questo periodo faccia  molta più fatica ad esprimere le sue opinioni da cronaca rosa. Spiccano i programmi di colleghi bravi. Oggi, in cui stiamo tutti a casa,  bisogna fare i conti con un altro tipo di pubblico. Una sfida anche per i programmi della mattina, per intenderci quelli delle fasce di interesse per lo più indirizzate alla  “casalinga di Voghera” . Ciò che emerge è il rimescolamento di tutto. Pensiamo anche solo al risultato inaspettato  di ascolti  della preghiera del rosario della settimana scorsa. Niente è come ci si aspetta e dunque c’è un grande spazio per chi vuole fare vero approfondimento. Allo stresso tempo, tuttavia,  emergono  i nodi di una informazione strumentalizzata in chiave politicizzata.

Un esempio?
La polemica di Bruno Vespa  che domanda dove siano le Ong in questa emergenza mi ha fatto molto riflettere. Forse si dimentica, per fare un solo esempio, che si tratta di volontari che per un paio di mesi all’anno svolgono il loro servizio sulle Ong ma sono medici pagati dal sistema sanitario. Quindi oggi sono negli ospedali o negli ambulatori di famiglia a svolgere regolarmente il loro lavoro. Ecco, per aggiungere una riflessione rispetto ancora all’informazione in questo periodo vorrei che riuscissimo a raccontare di più che, ad esempio, nel terzo settore ci sono persone che si occupano dei bambini di infermiere, infermieri  e medici  che non possono tornare a casa per paura di contaminare la famiglia. Rispetto a questo credo che potremmo abbandonare i toni patriottistici. Che siamo italiano lo sappiamo tutti. Piuttosto spingiamo maggiormente  sul senso di comunità più che di bandiera.

C’è qualcosa che sta mancando nel racconto giornalistico di questo periodo? 
Infine vorrei  riuscissimo  a raccontare di più le ricadute A livello globale future. E nel breve non dimenticare di raccontare la violenza domestica. E’ emersa la diminuzione delle denunce non certo perché sono diminuiti i casi.

L’informazione  istituzionale al tempo di Covit-19? 
Il Governo non è sempre stato lineare e il giornalismo Ha permesso anche di segnalare disfunzioni di carte che erano sfuggite dai cassetti. Mi spiego meglio: il problema non è del giornalista che riceve le notizie dalle sue fonti ma di chi dovrebbe coordinare le informazioni ufficiali. E qui mi riferisco a tutti i livelli istituzionali che oggi sono chiamati ad una responsabilità assoluta rispetto ai cittadini. I giochetti di schieramento politico vanno lasciati da parte. Faccio un esempio pratico: se si tiene conto degli orari della borsa per le comunicazioni finanziarie e di natura economica tanto più si dovrebbe tenere conto degli aspetti di sicurezza e serenità dei cittadini, il cui benessere non dipende solo dagli indici finanziari.


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