Siamo tutte e tutti più poveri, dopo che le parche hanno reciso il filo di Giancarlo Aresta. Lo ricordiamo nei diversi e numerosi ruoli che ha ricoperto in una vita appassionante e appassionata, generosa e caparbia. Dirigente del partito comunista italiano, segretario per molti anni della federazione di Bari fu un punto di riferimento significativo nel e del lungo dibattito che fece seguito alla “svolta” del 1989. Non fu d’accordo con la scelta dell’allora segretario Occhetto, ma senza ostilità preconcette e con attenzione al dialogo.
Ma non solo politica-politica. Aresta fu direttore editoriale della casa editrice “De Donato”, laboratorio culturale e luogo attrattivo di una considerevole area intellettuale. Contribuì a rendere Bari una vera e propria école, un polo della discussione italiana e internazionale. Tutto questo era gestito con operosità e modestia e con un forte rispetto per il lavoro collettivo.
A un certo punto, però, la sua esperienza si spostò decisamente nel mondo dell’informazione. “il manifesto” fu la casa in cui si espresse con tenacia e creatività un’attività non solo strettamente giornalistica, anche se ci ha lasciato articoli importanti. Fu tra i responsabili, infatti, della cooperativa del quotidiano accompagnandolo in un passaggio decisivo e divenne uno dei massimi dirigenti dell’organizzazione “Mediacoop”, che raggruppava la grande parte dei giornali di opinione, locali e cooperativi. Su quelle testate, generalmente estranee alle logiche di mercato, pesava sempre la scure dei tagli del Fondo dell’editoria. Se -almeno in parte- quella terribile linea censoria verso il pluralismo è stata frenata, una cospicua parte del merito va attribuita proprio ad Aresta. Fu lui, ad esempio, a chiarire che le risorse per la componente “debole” della stampa e della comunicazione non erano una mera elargizione, bensì un diritto soggettivo. Tutelato dall’articolo 21 della Costituzione. Fu così che la lotta annosa per salvare le testate divenne e rimase una vera questione democratica. Grazie Giancarlo.