La partita difficile ma possibile sui beni confiscati. Intervista al direttore dell’Agenzia nazionale, Bruno Frattasi

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Sono quindicimila i beni sequestrati e confiscati alle mafie che dovranno essere riutilizzati per scopi sociali e istituzionali ed è questa la sfida più grande dello Stato per onorare degnamente la memoria di Pio La Torre. Fu infatti il parlamentare siciliano a capire, molto prima di Giovanni Falcone, che colpire le ricchezze accumulate con metodi illeciti e criminali voleva dire puntare diritto al riciclaggio del denaro sporco ma soprattutto demolire l’immagine di forza che la mafia vuole dare di sé e che usa per accreditarsi soprattutto in territori economicamente svantaggiati. Pio La Torre ha perso la vita per avere messo in luce un concetto che ancora adesso è il fondamento del contrasto allo strapotere dell’economia mafiosa. La legge 646 del 13 settembre 1982 nota come legge “ Rognoni-La Torre” introdusse per la prima volta nel codice penale il reato di associazione di tipo mafioso “art 416 bis” e le misure patrimoniali da applicare agli illeciti arricchimenti. Sono passati dunque 37 anni e l’utilizzo del sequestro e della conseguente gestione dei beni di provenienza mafiosa ha trovato numerosi ostacoli sul suo cammino, non ultime inchieste giudiziarie che hanno interessato amministrazioni dello Stato poste a garanzia delle assegnazioni stesse dei Beni.

Un’ombra si è nuovamente sollevata sulle procedure previste dalla legge 109 del 96 dopo che i recenti decreti sicurezza, varati nella primavera scorsa, autorizzavano la vendita dei beni confiscati ai privati laddove non fosse possibile il loro riutilizzo per finalità di pubblico interesse. Tutte le associazioni , i centri studi e le organizzazioni sindacali che si occupano di lotta alla mafia quali Libera, Legambiente,Acli, Arci, Avviso Pubblico,centro Studi Pio La Torre,Cgil,Uil  hanno protestato con forza contro l’introduzione di questa ipotesi di vendita paventando che gli acquirenti possano essere gli stessi mafiosi presenti sul mercato immobiliare con prestanome di vario tipo. Lo stesso decreto, di contro, prevede il rafforzamento dell’organico della Agenzia per i Beni Confiscati pur basandosi sulla mobilità interna all’amministrazione dello Stato e senza individuare una copertura finanziaria se non il 20% provento della vendita stessa dei Beni.

L’Agenzia dello Stato per la complessa gestione di queste migliaia di beni immobili ( concentrati in alcune regioni quali Calabria,Sicilia, Campania e Lazio) nata nel 2010, è adesso nelle mani di un Prefetto che ha dimostrato, negli anni difficili del silenzio mafioso seguito alle stragi degli anni 90, di conoscere a fondo i territori. Si tratta di applicare l’articolo 14 della legge 161 del 2017 che modifica la disciplina della gestione di beni e aziende sequestrate. L’articolo 40 del codice vuole consentire l’utilizzo delle migliaia di beni per fini sociali e istituzionali fin dalla fase del sequestro, con l’ausilio dell’Agenzia. A realizzare questo complesso lavoro è adesso chiamato Bruno Frattasi, napoletano, classe ’56 e una carriera tutta nel Ministero dell’Interno con incarichi di prestigio e una collaborazione stretta con vari ministri, oltre che responsabile dell’ufficio legislativo dello stesso Ministero. Bruno Frattasi è stato Prefetto a Latina e Commissario straordinario nel Comune di Gaeta. Una figura competente che non si è mai tirata indietro nel momento di imporre le regole. Il suo passaggio nella Provincia di Latina dal 2007 al 2009 ha rappresentato una tale discontinuità rispetto al passato da generare reazioni a catena all’interno di una provincia dove, apparentemente, tutto filava liscio come l’olio: nessuno aveva mai osato sollevare il coperchio degli interessi illeciti del sud pontino . Tanto è stata incisiva la sua presenza da trovare conferme nelle recenti indagini (febbraio 2020) svolte dalla DDA di Roma con arresti nel Comune di Fondi per condizionamento di stampo mafioso nelle attività del trasporto merci legato al mercato ortofrutticolo. Gli “ anni di Frattasi” sono gli anni dove si discute se “la mafia c’è o non c’è”, dove a negarla sono persone poste al vertice di alcune amministrazioni locali. Uno scenario di scontro istituzionale mai visto prima con il Presidente della Provincia di Latina che definì una “patacca” la commissione d’accesso inviata nel 2007 dal Prefetto Frattasi nel Comune di Fondi.

Il neo direttore dell’Agenzia ricorda oggi quei giorni con una certa amarezza: “Leggere la mattina i giornali locali con titoli molto aggressivi non è stato piacevole anche se sia io che i miei collaboratori non ci siamo mai sentiti intimoriti- afferma- e non era neanche giustificata tanta aggressività poiché non sarebbe stato possibile per me fare altrimenti”.

La commissione d’accesso evidenziò in 500 pagine ( quindi con molta precisione) i legami tra l’ amministrazione pontina e alcuni personaggi legati alle n’drine calabresi . La successiva richiesta di scioglimento del Comune per mafia approdò ad un diniego del Consiglio dei Ministri nonostante fosse stato lo stesso Ministro dell’Interno Roberto Maroni a esserne il promotore . In quei mesi la frattura profonda tra la politica locale e le Istituzioni a garanzia dei cittadini fu lacerante. “Frattasi go home” è stato uno dei titoli apparso a caratteri cubitali su un giornale locale : la sola idea che le mafie potessero avere preso piede nel sud del Lazio veniva respinta al mittente. Intorno al Prefetto Frattasi si era creato un clima ostile anche perché lui in pochi mesi aveva agito contro componenti del clan Bardellino, aveva impugnato e sospeso le ordinanze del sindaco di Sabaudia Maurizio Lucci che voleva rendere navigabile il Lago di Paola e aveva preso in considerazione le innumerevoli segnalazioni dei cittadini su anomalie anche nell’ambito delle aste fallimentari. Proprio nello scorso mese di novembre Bruno Frattasi intervenuto a Gaeta, alla presentazione del libro sui beni confiscati del giornalista di Avvenire Toni Mira, ha risollevato il caso dell’Hotel Mirasole di Formia, venduto all’asta dopo non poche polemiche e con una attenta inchiesta della giornalista di Latina Oggi, Graziella di Mambro oggi esponente di Articolo21. La nostra collega ipotizzava una gestione non trasparente sia del fallimento che della successiva asta. Nell’incontro organizzato da Libera a Gaeta è tornata in mente allo stesso Prefetto la storia dell’Hotel Mirasole in un ideale collegamento tra la possibilità di vendere i beni, così come previsto dai decreti Sicurezza e le aste fallimentari. In entrambi i casi infatti si potrebbe celare il sospetto di un acquirente pilotato dalle stesse organizzazioni criminali.

Venne da me il giudice del fallimento dell’Hotel Mirasole- racconta Bruno Frattasi- volevo che ci fosse una procedura di garanzia e ne avevo parlato con il Presidente del Tribunale, dottor Guido Cerasoli. Prefiguravo una sorta di controllo antimafia come si fa negli appalti pubblici: si sarebbero potuti verificare i pagamenti, l’acquirente, la migliore offerta. Mi venne detto però nell’incontro che le norme non davano scampo e che con la mia iniziativa avrei creato dei problemi e dei rischi per la procedura stessa. Non ho potuto fare altro che prenderne atto. Soltanto successivamente ho saputo che il giudice di quell’incontro era Antonio Lollo”

Nel 2015 un vero e proprio terremoto giudiziario portò il giudice Lollo in prigione nell’ambito di una inchiesta della Squadra Mobile di Latina sugli incarichi pilotati alla sezione fallimentare in cambio di regali e tangenti. Il funzionario dello Stato che oggi vigila sui Beni sequestrati è dunque persona che sa come muoversi in questo articolato e insidioso terreno.

La sede dell’Agenzia è oggi un appartamento sequestrato a Enrico Nicoletti il boss della Banda della Magliana: “C’era, credo, un centro estetico, la titolare era una prestanome- racconta Frattasi – eravamo in una sede molto costosa e quindi adesso siamo qui”. Non nasconde la difficoltà di lavorare con poche persone:  “ Settanta figure in organico potranno arrivare solo con un concorso che non è stato bandito e lo sarà prevedibilmente solo il prossimo anno e le 130 ulteriori presenze previste arriveranno dalla mobilità delle altre amministrazioni. In pratica- continua il Direttore dell’Agenzia- le amministrazioni coinvolte dovrebbero cancellare i loro posti in organico perché nel traferimento verrebbero cedute le partite stipendiali”.

Difficile ma forse non impossibile per il nuovo Direttore che è già riuscito a “trascinare” in questa nuova avventura istituzionale persone che lo avevano conosciuto nei suoi precedenti incarichi.

Sto cercando di rimediare a questa criticità- afferma- che sta complicando la manovra di rafforamento dell’Agenzia. Non siamo neanche lontanamente vicini alle duecento unità previste. L’Agenzia potrebbe diventare un organismo che rende celere e quasi immediata la destinazione di questi Beni restituendoli al territorio anche attraverso il privato- sociale. C’è stata una discreta partecipazione degli Enti Locali e diversi Comuni optano per prendere in carico i Beni. C’è da vedere naturalmente che cosa ne fanno: l’ ho detto a loro e lo ribadisco in questa intervista”.

A questo punto non posso fare a meno di domandare al Direttore ex Prefetto di Latina se per le ville sontuose dell’avvocato Cipriano Chianese, l’avvocato dei casalesi, sequestrate a Sperlonga c’è stata una richiesta di assegnazione da parte dell’amministrazione guidata ancora oggi da Armando Cusani, ex presidente della Provincia di Latina.

No- risponde il Direttore dell’Agenzia- nessuna manifestazione di interesse. Ho fiducia comunque nell’ottimo lavoro che sta svolgendo la nuova Prefetta Maria Rosaria Trio: equlibrata ma con pugno di ferro”.

Il 6 dicembre dello scorso anno L’Agenzia dei Beni Confiscati  ha firmato un protocollo (www.interno.gov.it) con il Procuratore Nazionale Antimafia e Antiterrorismo, Federico Cafiero de Rhao.

Una intesa sottoscritta presso la sede della Direzione Nazionale Antimafia che attraverso sistemi informatici garantisce l’Agenzia rispetto a tutti quei pericoli che si sono affacciati negli anni passati e che brevemente abbiamo cercato di riassumere in questo articolo. Vi sarà dunque un monitoraggio dell’acquirente e degli altri soggetti indicati dal codice Antimafia per cinque anni dopo la vendita del Bene e sarà possibile in alcuni casi rescindere il contratto di vendita.

Rimane il nodo del tempo che intercorre tra i provvedimenti di sequestro e l’assegnazione definitiva alla Agenzia da parte dei Tribunali, la possibilità per questi beni di non diventare improduttivi e di non finire nuovamente oggetto di speculazione economica delle mafie e tanti ulteriori passaggi che burocraticamente impegnano l’Agenzia che oggi dispone di quattro sedi in Italia: Napoli, Palermo, Milano, Roma. La capacità di Bruno Frattasi di fare squadra è oggi più importante che mai per vincere una delle partite sulle quali la mafia ha impegnato e impegna la sua capacità economica e corruttiva. Dall’esito di questa sfida dipende anche il riuso sociale in favore dei giovani, delle donne, delle categorie socialmente sfavorite di quei beni a volte lussuosi, a volte volontariamente dissestati che sono frutto di vendita di droga o di tangenti.


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