E così, in questi giorni tremendi, ci ha detto addio anche Joaquín Peiró, campione della Grande Inter di Herrera che fu protagonista della storica rimonta del ’65 nella semifinale di ritorno contro il Liverpool. Accadde, infatti, che i fuoriclasse del “Mago” perdessero la partita di andata per 3 a 1, rendendo necessaria un’impresa epocale al ritorno. E accadde, quel 12 maggio 1965, che il gol dello spagnolo si trasformasse in un capolavoro di astuzia e di tenacia, rubando il pallone dalle mani del portiere dei Reds e mettendo a segno il gol del 2 a 0 che rafforzò il vantaggio di Corso e rese possibile la rimonta, concretizzatasi nella ripresa grazie al terzo gol nerazzurro a opera di Facchetti.
Peiró non è stato propriamente un fenomeno, non è stato un Suárez o un Corso, ma era comunque un giocatore prezioso, un attaccante moderno, sempre pronto a lottare su ogni pallone, spesso decisivo, un perno di quella preghiera laica che iniziava con Sarti-Burgnich-Facchetti e si concludeva, per l’appunto, con Jair-Mazzola-Peirò-Suárez-Corso.
Un giocatore incisivo, efficace come pochi, saggio, sempre al posto giusto nel momento giusto. Giocò nell’Atletico Madrid e nel Torino, visse giorni di gloria in nerazzurro per poi trasferirsi alla Roma, dove ritrovò il suo mentore e continuò a seguire l’unica legge che abbia caratterizzato la sua vita: la legge del gol, dura, implacabile ma necessaria per chi è nato per segnare e regalare gioia al mondo. Chiuse nuovamente nell’Atletico prima di dedicarsi alla carriera da allenatore.
Ottantaquattro anni, una storia, un’epoca, un destino. Caro Peirò, com’è difficile dirti addio!
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