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La Grande Stagione, recensione del romanzo di esordio di Paolo Ruggiero

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‘La grande stagione’. Un titolo un po’ ingannevole quello che Paolo Ruggiero assegna al suo romanzo d’esordio edito da Castelvecchi, in libreria dallo scorso 16 gennaio (314pp, 19,50Euro). Livio, prossimo ai trent’anni e alla laurea, torna a casa in auto, nella campagna friulana. L’auto scorre veloce nell’autostrada libera dal traffico, solo qualche ‘tir polacco’ qua e là. Sulle note di Bill Evans riaffiorano i ricordi, quelli della maturità e del viaggio in Grecia, qualche settimana dopo. “Scegliemmo isole piccole, fuori dalle traiettorie turistiche, raggiunte da battelli di fumaioli neri, minati dalla ruggine. Al ritorno l’iscrizione a Scienze Politiche. Andare a vivere da solo, in città a vent’anni, a Bologna, lasciando la campagna friulana. L’inizio della stagione universitaria”.

E’ così che si apre il racconto di Livio, decisamente moderno nella prosa e, vivace ed incalzante nel ritmo; un racconto che si snoda in tre parti. Dall’onda dei ricordi di quel viaggio iniziatico sull’isola di K, nelle Cicladi, che contrassegna la prima parte, alle strade e ai portici di Bologna, gli anni dell’università in quella mansarda, luogo di vivaci consessi carnali narrati fin nei più intimi dettagli, che caratterizzano la seconda. Bologna viene descritta come una sorta di ‘Disneyland’, una città accogliente che non ti lascia mai solo, tra facili conquiste e amici sempre disponibili con cui trascorrere una serata davanti ad una birra o in un piccolo locale tipico. Una città che infatti non sembra volerlo lasciare andare fino a quando, ormai laureato, Livio si trova davanti al grande ‘salto’, alla ricerca di un lavoro: un tentativo nella caotica Milano, decisamente respingente, almeno per lui, quindi un salto dall’amica a Barcellona, che lo accoglie con la sua giovialità in un fine settimana di bella stagione. Quindi si ritrova, quasi per caso, ad iniziare a luglio – mentre Bologna sta per svuotarsi per le vacanze estive – in un’agenzia pubblicitaria. Dopo pochi mesi la direzione chiede il suo trasferimento a Parigi, complice la sua ottima conoscenza della lingua. Livio torna nella capitale francese – destinazione dell’Erasmus – pieno di entusiasmo, stante il suo piccolo alloggio di pochi metri quadrati, l’aria fredda e il cielo grigio. La sua avventura lavorativa lo intriga, così come la città, in cui ama perdersi, a piedi o in bicicletta. Alla scadenza del semestre tuttavia il suo contratto non verrà rinnovato. E’ così che nella terza parte Livio torna alle origini, sull’isola di K, dove la grande frenesia della metropoli lascia spazio ad un luogo senza tempo, immutato in quegli ultimi dieci anni, ancora ‘salvo’ dal turismo di massa che ha invaso le isole più note dell’arcipelago.

“Ho voluto ritrovare il punto geografico, il Big Bang della giovinezza, la lunghissima estate in cui ci caricammo come molle per meglio proiettarci dentro la stagione dell’università, degli anni a venire, dalla provincia finalmente pronti ad atterrare a Bologna, Padova, Firenze, città che ci sembravano fucine di creatività, di socializzazione senza limiti. Mi fa sorridere adesso pensare che sia stata invece una ‘fuga’ dalla metropoli a riportarmi qui, da solo”. E’ la chiusura del cerchio.

Sullo sfondo del ‘viaggio’ di Livio, scandito dal trascorrere dei mesi che connotano i diversi capitoli, c’è, quasi un fil rouge, la prematura scomparsa del padre del protagonista, un pilota esperto, Elio, precipitato inspiegabilmente una domenica, quando lui aveva appena 10 anni, durante un volo acrobatico. Livio cerca di ricostruire le cause dell’incidente: pubblica un annuncio, chiedendo a chi lo ha conosciuto o ricorda quel giorno di scrivergli. E’ così che riceve mail piene di racconti dettagliati e di tristezza, per quel triste epilogo. E un po’ come per mantenere quel legame troppo presto reciso, Livio cerca di imprimere alcune scene nell’obiettivo, portando avanti la passione per la fotografia che prima era stata di suo padre.

Al di là della storia che scorre in superficie, il romanzo indaga tanti controversi aspetti del nostro tempo: dalla precarietà lavorativa alla difficoltà di costruire rapporti duraturi. Le tante figure femminili che si susseguono nel corso della narrazione, tra Bologna e Parigi, non hanno tratti identitari, ad eccezione dell’amica Silvia: sono solo figure volte al raggiungimento di un piacere effimero, nulla più. L’amore, come la genitorialità, è forse qualcosa che Livio non è ancora pronto ad affrontare, complice il vuoto lasciato da suo padre.

Un libro che solleva tanti quesiti e che merita di esser letto ed assaporato senza fretta, capitolo dopo capitolo.


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