Bufale al tempo dell’emergenza, in rete, rilanciate a ripetizione come se non ci fosse un domani e, soprattutto, come se non ci fosse alcuna sanzione. Le notizie false e/o allarmanti, insieme all’odio inquinano i pozzi della rete cui attingono milioni di utenti. In un tweet il sottosegretario all’editoria Andrea Martella ha riportato sotto i riflettori un tarlo che si è insinuato in questa emergenza, il tarlo delle fakenews. Gli abbiamo chiesto perché ha voluto mettere i puntini sulle “i” scrivendo che accanto alla battaglia contro il coronavirus dobbiamo portarne avanti un’altra, quella contro le notizie false.
Questa mattina ha “equiparato” la battaglia contro il coronavirus a quella contro le fakenews. Non crede che questo tempo dell’emergenza ci stia anche restituendo molti valori, incluso quello dell’informazione?
“Si tratta di una battaglia parallela, che si intreccia e si innesta nella grande battaglia per sconfiggere il virus. Parto da un presupposto: le fake news sono pericolose in tempi normali e lo diventano ancor di più nelle emergenze perché creano disorientamento e mirano a seminare angosce e caos. In questi momenti servono invece il massimo della razionalità e piena fiducia nell’autorevolezza, altrimenti la battaglia contro la pandemia rischia di diventare impari. La buona informazione, quella fedele alla verifica e alla verità dei fatti, fornisce questi strumenti vincenti. Ne avremmo fatto più che volentieri a meno: ma questa emergenza drammatica deve essere colta come occasione per diffondere la cultura dell’affidarsi a testate giornalistiche accreditate e a fonti istituzionali. Il Coronavirus cambia e cambierà il mondo. E deve spingere a scrivere la parola fine all’epoca del ‘tutti sanno fare tutto’. Se per curarsi bisogna rivolgersi ai medici, per avere notizie vere e bussole precise bisogna rivolgersi ai professionisti dell’informazione. Mi conforta il fatto che sempre più cittadini cerchino sicurezze e protezione dalla buona informazione. Segno che abbiamo avuto ragione, come Governo, a garantire la piena attività di tutta questa filiera, dai stampatori ai giornalisti alle edicole, ritenuta fornitrice di un servizio essenziale. Insomma, il varco per il cambiamento è stato aperto: ora bisogna andare avanti e non mollare di un centimetro”.
Lei è tra quelli che più spesso parlano di “sostegno” all’informazione certificata che, evidentemente, non è solo un sostegno economico. Da dove ricominciamo, dopo, quando tutto questo sarà finito?
“Sin dall’inizio del mandato, il mio impegno è stato volto a riannodare un’interlocuzione con il settore della stampa e della informazione e a ripristinare condizioni di reciproca fiducia, una premessa necessaria per qualsiasi politica pubblica. Il presupposto del sostegno statale è costituito infatti dal riconoscimento del valore della stampa e della sua funzione nella cornice dei valori costituzionali. Poi certo c’è bisogno di politiche conseguenti ed è quello che abbiamo fatto con la legge di bilancio congelando i tagli già disposti dal precedente governo alla contribuzione diretta, promuovendo la lettura nelle scuole, accompagnando i processi di trasformazione tecnologica del settore a sostegno di tutta la filiera. Anche nel Decreto Cura Italia si è trovato spazio per un settore, come quello dell’informazione, che il governo ha espressamente preservato dalle restrizioni in nome della sua funzione di pubblico servizio. Vanno in questo senso il raddoppio fino a 4mila euro del credito di imposta per le edicole, la sua estensione ai distributori di giornali nei piccoli comuni, ma anche la modifica apportata al credito d’imposta pubblicità per sostenere più efficacemente in questa situazione di crisi gli investimenti delle imprese in pubblicità sui giornali e le televisioni locali. È da qui che dobbiamo ripartire dopo la fine dell’emergenza, quando riprenderemo il filo di quel processo di riforma che ho chiamato Editoria 5.0, con un obiettivo preciso: riordinare gli strumenti di sostegno pubblico diretto e indiretto, puntando su innovazione e competenze, e dare una cornice normativa certa e stabile a tutta la filiera della stampa”.
La politica (una parte di essa) alimenta o rilancia le fakenews, non è una bella prova in questo momento…
“In questi giorni un po’ da tutte le parti politiche si fa richiamo alla responsabilità, alla collaborazione e alla condivisione costruttiva. Tutto bene. Però questi doverosi principi vengono calpestati quando la propaganda di alcuni esponenti di punta scade nel sensazionalismo, se non addirittura nel complottismo, attorno al Coronavirus. Evidentemente, al di là delle belle parole, sembrerebbe continuare a prevale, in alcuni, un certo opportunismo e la volontà di “strappare” l’opinione pubblica da quel legame fiduciario che stiamo costruendo e cui facevo riferimento prima. Col rischio concreto di allargare i confini dell’emergenza in corso”.
Il servizio del tg Leonardo, datato 2015, e rilanciato in queste ore può essere il banco di prova per tentare di cambiare? Nel senso che adesso andiamo a vedere chi lo ha rilanciato e perché? E iniziamo a mettere i paletti tra chi informa e chi inquina?
“Dobbiamo studiare seriamente un’iniziativa istituzionale, forse anche un meccanismo sanzionatorio più efficace per evitare il diffondersi delle fake news. Sono convinto che queste vadano combattute con forza, intervenendo a vari livelli. Ciò significa ad esempio rafforzare il già importante ruolo della Polizia postale nell’individuazione delle ‘fonti tossiche’ e, al tempo stesso, fare leva sull’attività di debunking, di smascheramento delle notizie false. I responsabili di questa informazione nociva devono sapere che, a fronte di un danno procurato alla comunità, corrisponde un dazio certo da pagare”.
Tutti dicono che questa emergenza è una sfida e che ne usciremo migliori. E’ possibile ipotizzare anche che avremo un linguaggio migliore, un racconto migliore e meno odio nelle parole?
L’Italia sta mostrando di essere un grande Paese dai forti valori. Non era facile e per nulla scontato avere una risposta così compatta. E questo porterà dei cambiamenti anche nel linguaggio. Oggi in prima fila a fronteggiare questo nemico così insidioso e pericoloso abbiamo medici, infermieri e in generale tutte le professioni che hanno la loro missione nella cura e nel bene dell’altro. È indubbio che questa focalizzazione di interesse può cambiare il paradigma del linguaggio, consentendo di archiviare una lunga stagione di “odio” con il suo carico di tossine immesse quotidianamente nel dibattito pubblico. Questo non solo è ipotizzabile, ma è già in parte realtà. Lo si vede dai balconi e dai messaggi che gli italiani lanciano da lì. È un nuovo linguaggio pubblico che incoraggia la speranza. Proprio la buona informazione è una delle armi migliori da contrapporre alla cultura dell’odio. Fare in modo che l’odio non diventi cultura dominante è compito di cui sentiamo, come Governo, grande responsabilità. La stampa, un’informazione forte e libera, hanno un ruolo decisivo, per rimettere le cose nel giusto modo, con i piedi per terra e la testa in alto.
Molto del racconto di questi giorni viene fatto da giornalisti precari. Cosa sarà di loro “dopo”, cosa si sente di dire loro? Sappiamo che ne ha parlato con i vertici della Fnsi.
So bene quanta rilevanza ha il precariato nell’industria dell’informazione. Stiamo arrivando – e io auspico che si chiuda quanto prima – alla conclusione dei lavori della Commissione per l’equo compenso d i giornalisti, un traguardo da tempo atteso che consentirà di assicurare la giusta retribuzione a tutte le figure professionali dell’informazione. Ne va della qualità stessa dei prodotti editoriali e della stessa democrazia. È per questo che abbiamo spinto per assicurare ai giornalisti precari con partita IVA i 600 euro che il decreto Cura Italia attribuisce ai lavoratori autonomi, proprio nella consapevolezza che sono quelli i soggetti più fragili da tutelare nell’emergenza. Abbiamo adottato con FNSI un metodo di confronto che proseguirà. Le istituzioni, hanno il dovere di creare le migliori condizioni perché i giornalisti, tutti gli operatori dell’informazione e l’intero settore dell’editoria, possano svolgere al meglio il loro lavoro e la loro preziosa funzione. Quello che mi sento di dire è che nessuno deve essere lasciato indietro.