Dal Congo all’Italia e ritorno. Con la paura e la speranza nel cuore. Il dramma Coronavirus, questa scure abbattutasi su ognuno di noi, ci ha costretto a cambiare ad horas le nostre abitudini, una livella trasversale che talvolta sta mettendo in luce anche storie di valore. Di speranza, prossimità, cuore. Come quella di Anna Chiara, italiana in quarantena in Congo.
“Qui sono più le ore senza luce e senza internet, acqua… che quelle in cui abbiamo l’elettricità…Ora è stato ufficializzato il primo caso di Coronavirus, a Brazzaville. Si tratta di un cittadino francese arrivato in Congo il primo marzo, prima che il qui si rendesse obbligatoria la quarantena per tutti i viaggiatori provenienti da zone a rischio. Sono in quarantena anch’io”.
Diario di bordo di Anna Chiara Coppola, salentina della provincia di Lecce, dal 2018 in Congo col compagno, dipendente di una multinazionale italiana. Lei insegna, collaborando con una scuola inglese. Era tornata in Puglia ( a Veglie, il suo paese d’origine) per qualche giorno a fine febbraio, come ci torna ogni tre mesi perché casa manca, inutile negarlo.
“Sono in quarantena chiusa in casa dal 5 marzo – racconta -. Sono stata prelevata in aeroporto dalla polizia e dai medici del ministero della Salute, scortata. Gli istituti scolastici si stanno fermando. La diffusione del virus senza ospedali né attrezzature è un dramma. Non mi perdo d’animo, sono salentina, ma è dura””.
Un rientro coatto quasi, diverso. “L’aeroporto di Addis Abeba e quello di Roma Fiumicino erano completamente deserti, un silenzio surreale. Avevo un biglietto di rientro a Pointe-Noire in data 7 marzo, ma il 3 il governo congolese ha reso obbligatoria la quarantena per tutti i viaggiatori provenienti dalle zone ad alto rischio quali Italia, Cina, Corea, Francia, Iran. Ho fatto le valigie e cambiato il biglietto, anticipando così la partenza e lasciando la mia famiglia in fretta e furia”.
Quando l’aereo è atterrato “i medici, muniti di tutti i dispositivi di protezione, hanno controllato la temperatura corporea ai passeggeri. Successivamente la polizia ha preso in carico tutti i passaporti di quelli a rischio e solo quando l’aeroporto si è svuotato, hanno organizzato il nostro trasferimento nei rispettivi appartamenti. Eravamo diciassette. Le navette, con a bordo i medici, sono state scortate dalla polizia e non c’era modo di staccarsi dal corteo. Ad ognuno di noi è stato consegnato un termometro e una volta a casa, ci è stato detto che non potevamo lasciare per nessuna ragione il nostro domicilio. Non è possibile uscire sul balcone né in giardino”.
“Guardo la dispensa e mi vengono in mente gli amici, la mamma…nel Salento. E proprio le mie origini mi salvano, perché ho da mangiare. Assai”. E per passare il tempo Anna Chiara ha deciso di imparare a cucire: “Mi son messa a cucire accessori in tessuto wax con cui contribuire ad aiutare l’orfanotrofio dove faccio volontariato, chi acquista questi oggetti può aiutare i bambini”.
Il COVID-19 laggiù terrorizza. ”In un paese dove malaria, tubercolosi, Aids, febbre gialla, chikungunya, ebola mietono ogni anno migliaia di vittime, la propagazione di questo virus può essere devastante. Se in Italia il sistema sanitario è al collasso, qui è quasi del tutto inesistente. Gli ospedali non ce la farebbero. Ad aggravare ancora di più la situazione è l’assenza d’informazione. Non ci sono giornali, non ci sono tv, la maggior parte della popolazione congolese vive in villaggi sperduti nella foresta. Qui vige la regola del passa parola. Facendo tesoro di quello che l’Italia sta mettendo in atto in questi giorni, nel mio piccolo, attraverso la rete di amicizie congolesi sto sensibilizzando su come proteggersi e come comportarsi in caso di sintomi, chiedendo loro di divulgare queste piccole regole a tutti i loro conoscenti e sui rispettivi luoghi di lavoro. Non salverò di certo il mondo. Ma credo che sia importante che ognuno di noi faccia qualcosa. Una piccola goccia nell’oceano a volte può fare molto di più di mille proclami.”