BASTA VIOLENZA SULLE DONNE - 25 NOVEMBRE TUTTI I GIORNI

Io, africana in Italia, tra sospetti, imbarazzi e voglia di capire

0 0

 

Mi dicevano che avrei fatto molta strada, ma non immaginavano che li avrei presi seriamente. Parole pronunciate nella vita di una giovane entusiasta, ma timida presentatrice radiofonica la cui formazione in realtà è quella di insegnante.

Era il 1997 e avevo appena iniziato a praticare questa professione in una scuola a Wa – capoluogo della Upper West Region in Ghana – quando la diocesi iniziò una radio comunitaria. La diocesi era molto attiva nel settore della comunicazione e aveva anche fondato una casa editrice che era già ben avviata.

Per quanto ne ho memoria ho sempre sognato di diventare una conduttrice radiofonica anche quando nemmeno sapevo cosa significasse. I miei genitori mi raccontavano che a casa passavo molto tempo guardando la radio e ascoltando i vari programmi. Ricordo quei tempi mentre immaginavo le persone che parlavano alla radio. Ricordo con molta nostalgia quando i miei sogni andavano oltre l’apparecchio radiofonico, oltre le storie che leggevo nei libri e quelle che mi venivano raccontate.

Quando vieni da un continente svantaggiato e un’area remota, dove le opportunità sono limitate e le necessità fondamentali diventano un lusso, il resto del mondo sembra molto distante e irraggiungibile, infatti puoi percepirlo solo attraverso libri e racconti. Le sole opportunità ad essere illimitate sono i sogni.

Di fatto il sogno di essere la persona nella radio piuttosto che quella di fronte ad essa si realizzò quando fui chiamata a lavorarci. Mi occupavo di programmi educativi, andavo nelle comunità rurali per ascoltare la gente, trasmettere le loro storie e dare voce alle loro domande, registravamo anche storie tradizionali e storie di vita in forma di dramma. Un’esperienza che mi ha dato molto e alla quale mi sono dedicata con passione. Sarà per questo che circa tre anni dopo mi è stata offerta una borsa di studio per andare a Roma e studiare Comunicazioni Sociali.

 

Era una mattina di primavera dell’aprile del 2000 quando sono arrivata. Partita con una grande emozione, provando a immaginare quanto mi attendeva. Le aspettative erano tante. Purtroppo, però, questi sentimenti erano destinati a dissolversi nel viaggio dall’aeroporto di Fiumicino a Roma. Ho avuto modo di vedere sporcizia e persone senza tetto.

Non avrei mai immaginato che mi si sarebbe presentata questa immagine in Europa, qualcosa di molto simile a quanto avevo lasciato poche ore prima. I racconti che avevo letto e ascoltato non avevano alcun indizio di questo. Descrivevano invece bellissimi ed enormi edifici, macchine di lusso, persone vestite elegantemente e mai una parola dei cartoni sui marciapiedi usati come materassi da persone indigenti, sulle mani tese dei mendicanti che ti seguono per pochi spiccioli.

Questo era un anno straordinario, l’anno del Giubileo, pieno di eventi ed emozioni, in una città importante come Roma dove c’è anche il Papa. Non avrei dovuto percepire nulla di familiare, le sofferenze come quelle della mia popolazione. Invece sentivo un senso di tristezza e di pietà che ancora oggi è per me difficile rimuovere.

Mi aspettavo il freddo e in qualche modo lo conoscevo per il periodo di harmattan delle mie parti, quindi, anche se non era inverno, per iniziare ero abbastanza equipaggiata con la mia calda giacca. In seguito avrei avuto tempo e modo di provare con difficoltà anche le bassissime temperature. La cosa che mi ha colta davvero impreparata è stato l’orario del tramonto che dalle nostre parti è regolarmente alle 18:00. Stanca del viaggio, dopo aver pranzato e fatto un po’ di chiacchiere vado a riposare. Quando mi sveglio guardo l’ora e vedo che sono le 7. Il sole era molto luminoso ed ero convinta di aver dormito fino al mattino seguente, mentre erano solo le 19:00. Solo dopo mi è stata spiegata la differenza.

Dovermi confrontare con una nuova lingua non l’ho trovato difficile, ma stimolante. Mi affascinavano l’espressività della lingua, che mi ricordava alcune delle lingue ghanesi, e la gestualità degli italiani che oltretutto mi aiutava ad imparare più velocemente. A proposito di lingua, una delle cose più difficili da far capire è che in Ghana non esiste la lingua ghanese, ma come in tutti i Paesi africani abbiamo diverse lingue locali – oltre a vari dialetti – e che spesso la lingua ufficiale è una lingua straniera e nel caso del Ghana è l’inglese… Continua su vociglobali


Iscriviti alla Newsletter di Articolo21